In questa semifinale di Conference si affrontavano le uniche due compagini che erano state in grado di vincere per 4-0, ottenendo dunque uno “sweep”, nel primo turno dei playoffs. I Milwaukee Bucks, teste di serie numero uno, sfidavano i Boston Celtics, numero quattro. Entrambe le squadre, come detto, avevano liquidato con facilità, rispettivamente, Detroit Pistons e Indiana Pacers. Ci si attendeva dunque una serie equilibrata, giocata da due squadre ricche di talento in campo ed in panchina. Motivo di interesse era, infatti, anche la sfida a scacchi preannunciata tra Coach Mike Budenholzer e Coach Brad Stevens.
Nonostante tutte le attese e i pronostici, il tanto anticipato equilibrio è durato solamente due gare. Due gare che sono servite a coach Budenholzer per rispondere alle mosse attuate dai rivali per limitare lo strapotere offensivo di Giannis Antetokounmpo. Le tattiche difensive di Brad Stevens hanno infatti sì funzionato bene, ma solo finché gli avversari non hanno trovato il modo di eluderle. La serie così non è stata più alla portata dei Celtics, liberato tutto il potenziale offensivo della superstar greca. Risultato: quattro vittorie consecutive dei Bucks dopo l’illusoria vittoria di Boston in gara 1 e questione chiusa sul 4-1.
C’è da dire tuttavia che, nonostante i meriti chiari ed evidenti degli avversari, a concorrere al realizzarsi di questo risultato non sono mancati i demeriti dei Celtics. L’attacco non ha mai girato come avrebbe dovuto, visto il livello di talento che la franchigia può vantare. Il possibile colpevole, indiziato principale del delitto che ha avuto come vittima la fase offensiva della squadra, probabilmente è da individuarsi in Kyrie Irving. Colui che arrivava a questa post-season con tantissimo da dimostrare come leader di una squadra da titolo non è stato decisamente all’altezza delle aspettative.
L’ATTACCO BUCKS FUNZIONA, QUELLO CELTICS NO E FA CORRERE GLI AVVERSARI
Il confronto tra gli attacchi delle due squadre, all’interno di questa serie, è abbastanza impietoso. Quello che statistiche avanzate esprimono in modo elaborato sarebbe di facile comprensione anche ad un occhio meno esperto, in seguito alla semplice presa visione delle partite. L’attacco dei Bucks, dopo le apparenti difficoltà nelle prime due gare, è stato piuttosto efficiente, con un Effective Field Goal Percentage del 51.4%; i Celtics, dal canto loro, si sono fermati al 47.3%. Questa differenza fa molto effetto, soprattutto considerando il fatto che Boston si sia avvicinata di più alla percentuale fatta registrare dai Detroit Pistons nel primo turno (44.4%), piuttosto che a quella di Milwaukee in queste semifinali.
Inoltre, la mancanza di incisività offensiva della squadra di Coach Brad Stevens non si è limitata a danneggiare i suoi dal punto di vista dei canestri (non) segnati, ma anche, e soprattutto, da quello dei canestri subiti. Non riuscendo infatti spesso a mandare a bersaglio i propri tiri, i Celtics davano vita facile in campo aperto agli avversari, che hanno segnato ben 33 punti in ripartenza in più. Una differenza abissale.
Jaylen Brown sbaglia un tiro appena fuori dal pitturato, Giannis afferra il rimbalzo e fa ripartire in fretta l’azione, premiando lo scatto di Middleton, che lo ripaga con un canestro da tre.
Questa serie ha inoltre messo in risalto tutte le difficoltà incontrate da Kyrie Irving: dopo una gara 1 discreta, nelle quattro sconfitte dei suoi ha segnato un totale di soli 25 tiri su ben 83 tentati. I suoi affanni non sono tuttavia riassumibili in un dato così semplice, perché è stata resa evidente la sua mancanza di capacità di leadership. Il numero 11 non è stato in grado di mettersi la squadra sulle spalle o di dare una scossa alla questione nei momenti più bui. Cosa che invece è riuscita bene all’altra stella protagonista della serie: Giannis. Dopo una gara 1 letteralmente disastrosa, che aveva già fatto urlare i suoi detrattori alla sua definitiva caduta in questi playoff, ha saputo riprendersi alla grande e condurre i suoi a quattro vittorie di fila. Con buona pace di Paul Pierce.
ANCORA UNA VOLTA, MILWAUKEE DIMOSTRA DI NON ESSERE SOLO GIANNIS
Il capro espiatorio dei Boston Celtics è stato, evidentemente, individuato da tutti, noi compresi, nella figura di Irving. Tuttavia, a parte Al Horford nelle prime uscite di questa serie, nessun membro del supporting cast della squadra è mai riuscito a brillare davvero. Lo stesso non vale assolutamente per i compagni di Antetokounmpo.
Al contrario, la squadra testa di serie numero uno dell’intera lega sta dimostrando di possedere una delle caratteristiche fondamentali per essere vincente: la profondità. L’avevamo già evidenziato dopo la vittoria contro i Pistons, ma è bene ricordarlo. Questa serie di 5 partite, se ha da una parte spinto un gruppo come quello dei Celtics sull’orlo del baratro in vista della off-season, ha dato certezze ulteriori ad un gruppo già ben oliato come quello dei Bucks.
E l’ha fatto in un modo che dà ancora più valore al lavoro di tutti i suoi membri. In gara 1 gli avversari avevano fatto davvero un ottimo lavoro nel fermare Giannis sul 33% al tiro, portando Milwaukee alla sconfitta. In gara 2 il greco avrebbe fatto la stessa fine, non fosse stato per la prestazione superba di Khris Middleton, che, tirando con un mostruoso 70% da tre punti, ha aperto l’area congestionata come contromossa alla forza del suo numero 34. A quel punto Boston non ha davvero più avuto risposte. Nelle gare successive diversi giocatori come Eric Bledsoe, o Pat Connaughton e George Hill dalla panchina, si sono fatti avanti con grandi prestazioni. Il tutto mentre Antetokounmpo si riprendeva e bombardava il ferro avversario con le sue solite penetrazioni, che a questo stato delle cose potevano liberare anche i compagni caldi sul perimetro.
Giannis prova a penetrare, viene rallentato, perde l’equilibrio, ma pesca il rientrante Malcom Brogdon oltre il perimetro, che mette a segno il tiro.
Ecco allora la forza di questa squadra. I Bucks hanno un leader forte, universalmente riconosciuto ed accettato come tale, ma hanno anche altri giocatori dalle personalità importanti. Questo rende possibile quanto accaduto in queste partite: quando la stella si impantana, qualcun altro sale in cattedra, facendo tante piccole cose che aiutano poi anche lo stesso Giannis a migliorare sé e i compagni. Insomma tanto di cappello per il lavoro di coach Mike Budenholzer, che si sta guadagnando con prepotenza un posto tra i migliori allenatori nell’attuale NBA.