Se volessimo dare uno sguardo alle prestazioni di Rodney Hood prima dell’8 febbraio, data del suo addio a Utah, ci troveremo di fronte ad un giocatore completamente differente da quello visto in campo a Cleveland. D’altronde, le stesse medie realizzative sono la testimonianza di quanto appena detto. Da 16.8 punti in 27 minuti di gioco a 10.8 in 25 minuti. Hood è un giocatore che la dirigenza Cavs ha portato in Ohio per le sue doti da scorer e la capacità sopraffina di prendere tiri difficili in situazioni critiche. Infatti, a Salt Lake City la ruota girava, eccome.
LA VITA DI RODNEY HOOD A SALT LAKE CITY
Alcune delle conclusioni di un Hood da 30 punti con 12/14 dal campo, penultima partita con la maglia di Utah
Hood ha messo a segno 20 punti o più in 13 delle 39 uscite con gli Utah Jazz nella stagione 2017/18. Il duo formatosi con Donovan Mitchell era coeso ed esplosivo, grazie anche al contesto costruito attorno dal mago coach Snyder. Il rookie era il meno costante tra i due, Hood la certezza a cui affidare il pallone negli attimi cocenti di partita. Nonostante ciò, sia Hood che i Jazz stavano cercando qualcos’altro. La squadra era stata costruita per un solo leader, e Rodney non faceva parte di questi piani.
La pedina mancante da aggiungere nel sistema Jazz era un role player con mani educate da oltre la linea da 3 punti che rispecchiasse anche nella metà campo difensiva la mentalità di coach Quin Snyder. L’8 febbraio giungeva la trade deadline e il pazzo mercato NBA offriva il profilo tanto ricercato: Jae Crowder. A fare le valigie era proprio il giovane ex Duke a cui viene data un’opportunità di quelle che capitano una sola volta nella vita, ossia vestire la stessa maglia di LeBron James e, quindi, automaticamente, puntare all’anello NBA.
INVERSIONE DI TENDENZA
Nella prima uscita con i Cavs, la vittoria dell’11 febbraio al TD Garden di Boston, Hood mette a segno 15 punti in più di 18 minuti uscendo dalla panchina. Poi un’inversione di tendenza. Non solo i punti, ma anche le percentuali dal campo si flettono verso il basso. Le triple messe a segno da 2.6 di media si trasformano in appena 1.2. Ma il peggio deve ancora arrivare.
I playoffs sono una vera e propria apocalisse per il nativo della terra del Mississipi. Minutaggio (14 minuti) e punti (5.1) si dimezzano nelle 16 partite giocate sin ora da Rodney Hood nella postseason. Un giocatore che non si è riuscito ad incastrare nelle rotazioni di Tyronn Lue. La guardia non ha saputo adattarsi al ruolo del gregario dotato di mani fiducia per il Re. D’altronde si sa, il Prescelto si porta al suo fianco uomini compatibili con il suo modo di giocare, Hood è invece tutt’altro giocatore.
Sorge, tuttavia, un paradosso. Ciò di cui ha bisogno Cleveland in queste Finals sembra essere quello che ha da sempre saputo fare Hood. Canestri di ottima fattura in momenti delicati del match. Sembra essersi intravisto in gara 3, ma non quello che l’ex Utah ha fatto vedere nelle gare con Indiana, Toronto e Boston. E così è arrivata la punizione di coach Lue. Gara 1 delle Finals, Hood non mette piede in campo. Le parole che rilascerà ai microfoni di ESPN quella sera saranno:
“Stavo facendo ottime performance prima di essere scambiato. E adesso, questa è la prima volta che non ho giocato un solo minuto. Come le prima volta che tiro solo 2 o 3 volte in una partita. Doversi adattare è la parte più dura. Fa parte della mia crescita.”
La crescita di cui Rodney Hood parla dipende dall’adattamento al sistema Cavs. Purtroppo pessimo fino a quanto dimostrato sino ad adesso. Cleveland non fa per lui e lui non fa per Cleveland. La qualifying offer di quest’estate è l’opportunità che il giovane ha di cambiare aria per mettere in mostra il suo vero talento da scorer.