Essere la squadra per cui ha giocato lo sportivo più riconosciuto della storia del Gioco è un fardello non indifferente. Quella canottiera rossa e bianca con il numero 23 stampato dietro è in assoluto uno dei cimeli più popolari della cultura occidentale contemporanea. A testimoniare l’importanza che ha avuto per Chicago, è presente una statua all’entrata dello United Center, gate 5, che lo assurge a semidio.
Quel palazzo dello sport, situato in una delle vie principali della città di Chicago- 1800 W Madison Street, è uno dei più capienti e famosi d’America. Luogo di vittorie e sconfitte, gioie e delusioni, dove tutti i tifosi dei tori si riuniscono per supportare la propria franchigia. Casa dei Chicago Bulls e dei Chicago Blackhawks, squadra militante in NHL di hockey sul ghiaccio della Windy City, lo United Center non è stato il primo stadio sorto in Illinois ma, il risultato di una serie di investimenti, fallimenti, ricostruzioni e ripensamenti.
Chicago Stadium: tra dieci Stanley Cup Finals e tre NBA Finals

Chicago Stadium, casa dei Bulls dal 1929 al 1994
Partiamo dall’inizio dell’antenato dell’odierno United Center: il mitico Chicago Stadium.
Inaugurato il 28 marzo del 1929, Il Chicago Stadium ha ospitato numerosi eventi sportivi, concerti e comizi politici sia repubblicani che democratici. Costato più di 7 milioni di dollari, la Madhouse on Madison ha ospitato, per quasi trent’anni, la franchigia dei Chicago Bulls. Lo stadio deve la sua esistenza ad un personaggio illustre nella Windy City, più per i soldi che possedeva che per le sue strabilianti gesta nell’ambito sociale, Paddy Harmor. Promotore locale la cui unica intenzione esistenziale era quella di portare il grande hockey in Illinois.
Ma a dire il vero, nemmeno il Chicago Stadium è stata la prima casa dei Bulls.
In realtà, la franchigia di Chicago ha esordito nella lega Nba all’International Amphitheatre, prima di trasferirsi solo nel secondo anno di vita (1966-1967), al Chicago Stadium, dove sono peraltro riusciti a raggiungere i PlayOff.
Sebbene la franchigia avesse inizialmente faticato ad integrarsi in un campionato così ambizioso, a metà degli anni’70 è, però, diventata subito uno dei migliori team della stessa lega, guidato dall’amato Jerry Sloan, Bob Love e Norm Van Lier e insieme ai futuri Hall Of Famer, Artis Gilmore e Chet Walker.
Ed è proprio con questo roster che i Bulls hanno dato il via alla propria storia che, con il passare degli anni, si è rivelata sempre più vincente.
Poi in quel draft del 1984 è sceso in terra quel semidio raffigurato nella statua di cui abbiamo parlato in precedenza.
All’inizio degli anni ’90, i tori hanno aggiunto profondità e talento al proprio roster con gli innesti di giocatori del calibro di Horace Grant, Bill Cartwright e John Paxson, vincendo così per tre anni consecutivi (1991,1992 e 1993) l’anello Nba, uno del quale proprio in casa al Chicago Stadium contro i Portland Trail Blazers.
Ma, solo un anno dopo l’ultimo titolo vinto in casa, lo stesso stadio è stato demolito.
Era pronta la nuova casa, lo United Center.
Bulls’ house, one name: United Center

Casa attuale dei Chicago BlackHawks e dei Chicago Bulls
Nel 1994, infatti, lo United Center ha preso il posto dello storico Chicago Stadium, demolito lo stesso anno con lo scopo di ricavarne parcheggi per la nuova area, ed è ora uno dei impianti sportivi indoor, adibiti al gioco della pallacanestro, più capienti (23 000 posti) e conosciuti d’America.
Situato nel piccolo quartiere di Near West Side, lo United Center ha mantenuto le tradizioni e le usanze del primo stadio dell’Illinois: ospitando sia i Chicago Bulls sia la squadra di hockey, Chicago BlackHawks nella stessa arena sportiva. L’area prende il nome dallo sponsor aziendale, United Airlines, che, agli inizi degli anni ’90, è stato esteso su tutta la città “ventosa”. Infatti, lo United Center può godere di un proprio hub all’aeroporto di O’Hare, uno dei piu’ trafficati al mondo
Il piano della realizzazione dell’arena è stato ideato dal proprietario dei Blackhawks, Bill Wirtz e dal proprietario dei Bulls, Jerry Reinsdorf.
Infatti Bulls e i Blackhawks gestiscono ambedue lo United Center attraverso la United Center Joint Venture (UCJV), una compagnia manageriale che fa da tramite nella gestione del palazzetto in quanto entrambe le società detengono il 50% della partnership.
Oltre alle 82 partite dei Bulls e Blackhawks ogni anno lo United Center ospita ed ha ospitato altri eventi sportivi come, ad esempio, l’Università dell’Illinois, torneo della Big Ten (costantemente dal 1998 fino al 2001, poi negli anni dispari dal 2003 fino al 2007 e di nuovo nel 2013 e 2015), il Torneo di pallacanestro NCAA maschile (ospitato quattro volte, incluso nell’anno 2011), il Roundball Classic e il Great Eight Classic.
Tra la franchigia dell’Illinois e la nuova “casa”, tuttavia, l’amore non è scoppiato a prima vista.
Come raccontatoci da Stephen Noh, apprezzato columnist e podcaster per The Athletic, il primo approccio dei tori con lo United è stato tutto meno che lieto.
Stando alle sue parole, Sua Maestà Michael Jordan capeggiava la lista degli scontenti.
“Mi piaceva lo Stadium che era vecchio e freddo e tutti lo odiavano. Ora vengono qui ed è tutto bello, sembra un centro commerciale”. Per Jordan la costruzione del nuovo palazzo aveva spazzato via la mistica del vecchio Stadium tanto da portarlo a dire riferito allo United “I still want to blow it up”…suppergiù vorrei farlo saltare in area.
L’amore del 23 per il nuovo palazzo era duro a venire un po’ per quella atmosfera troppo rarefatta, un po’ per quei ferri troppi rigidi ma soprattutto per quella loyalty nei confronti di quel Chicago Stadium che, per anni, era stata la casa di tanti successi.
Ma il semidio non era l’unico ad accogliere con freddezza la nuova dimora, anche il plurianellato Coach Phil Jackson non mancava di criticare lo United che fosse per la posizione delle luci o per come rimbalzava la palla sul parquet.
“Se metti la palla nel cesto, è facile che esca fuori” il sintetico commento di Coach Zen.
Insomma tutti, da MJ al magazziniere, avevano sviluppato un senso di fedeltà nei confronti del vecchio parquet, luogo di lotte, sfide e ricordi che stavano ancora troppo a cuore a tutta la franchigia.
La nuova casa suonava, a dir poco, indigesta.
Insomma un disastro, no? Non proprio.
Sua Maestà, il semidio, ha deciso poi che va bene i ferri, le luci, la lealtà, l’atmosfera e tutto il resto, ma alla fine “I still have to do my job. No matter where I play, I still have to go out there and do my job.”
Ecco, diciamo che quando MJ promette una cosa generalmente tende a mantenerla.
Il resto è storia.L’arena è poi diventata la casa dei Bulls a tutti gli effetti ed è stata, testimone delle secondo threepeat dell’epoca Jordan negli anni 1996, 1997 e 1998.
Adesso dei ferri e delle luci non parla più nessuno e tutti attendono solo il ritorno di una nuova stagione di vittorie per i Bulls.
Intanto per antipasto, l’All Star Game del 2020 si giocherà nella Windy City. Dove? Lo sapete già.