La NBA si trova nel mezzo di una delle fasi più delicate della convivenza con il virus. Dal momento in cui sono emersi i primi rinvii di gare, la lega ha sottolineato come l’attuale periodo sia il più sofferente in termini di numero di contagi. In costante collaborazione con il sindacato dei giocatori ed autorità mediche e sanitarie, il protocollo è sotto costante monitoraggio. Ad oggi, una ulteriore modellazione è stata messa in atto per restringere ancor di più le possibilità di rischio. Come riporta Adrian Wojnarowski di ESPN, la NBA prevede di ricorrere agli addetti alla sicurezza per evitare contatti tra avversari nei periodi immediatamente precedenti e succedenti alla partita. Si tratta di una misura atta a prevenire la trasmissione in campo potenzialmente derivante da strette di mano o abbracci, e conversazioni tra gli atleti. In un promemoria inviato alle 30 squadre, la NBA sottolinea come sia permesso solamente il saluto con il gomito o con il pugno.
Sin dall’inizio della stagione, l’intera organizzazione direttiva si è imposta di anteporre la salute di giocatori, allenatori e staff. Le disposizioni di protezione sono tra le più all’avanguardia e dettagliate. Ciò nonostante, sussistono varabili non sotto il diretto controllo della NBA. Recentemente, le 158 pagine del protocollo “Salute e Sicurezza”, elaborato prima del 22 dicembre, hanno già subito una prima variazione. Questa, della durata temporanea di due settimane, prevede regole più stringenti per ogni attività circondante lo svolgimento delle gare. In particolare, è prevista la forte raccomandazione di restare a casa quando la squadra si trova nel proprio mercato. In trasferta, i giocatori non possono ospitare nessuno nella propria stanza. Durante la gara, ogni giocatore in panchina, persino chi fa parte delle rotazioni, è obbligato ad indossare la mascherina. Una serie di misure necessarie alla sopravvivenza della stagione.
Le gare NBA finora rinviate sono 17
A testimonianza di quanto detto, viene in aiuto il trend registrato nella posticipazione delle gare. Nel periodo che intercorre tra la prima palla a due della stagione del 22 dicembre ed il 9 gennaio, il numero di partite rinviate era fermo ad uno. Si fa riferimento alla sfida tra Oklahoma City e Houston Rockets. Dal successivo 10 gennaio ad oggi, il numero sale fino a 17. Dell’ultima ora è il rinvio della sfida tra Milwaukee Bucks e Washington Wizards, in programma venerdì. La squadra di Scott Brooks è la più martoriata dal numero di contagi e dovrà recuperare 6 partite. Questo è l’unico caso in cui si è generato un focolaio interno, dove il numero di atleti positivi è tuttora a 6. Solamente nella giornata di oggi gli Washington Wizards sono tornati ad allenarsi individualmente, visto il limitato numero di giocatori a disposizione.
Seguono i Boston Celtics ed i Miami Heat, con 3 gare da recuperare in futuro ciascuna. Ed i Memphis Grizzlies con 2 rinvii. Nella programmazione del calendario della stagione, la NBA ha previsto lo svolgimento di 72 gare. Queste dovrebbero concludersi entro il 16 maggio, con il primo turno dei playoffs previsto per il 22 maggio. Solamente dopo gli spareggi tra le squadre classificate tra la settima e decima posizione. Il termine ultimo della stagione è fissato al 22 luglio, così da permettere la partecipazione alle Olimpiadi degli atleti americani, e non incorrere in conflitto con esse in termini di ascolti. Il numero di 72 gare non è casuale, in quanto rappresenta la quota che fa scattare il pagamento completo dei diritti televisivi da parte degli emittenti locali. Perciò, è facilmente intuibile come la NBA sia decisamente incentrata nel portare a termine gli obiettivi stilati inizialmente.
La questione rinvii appare gestibile, per ora
Volutamente, la NBA ha diviso il calendario in due parti, la cui prima è in vigore sino al 4 marzo. Questa mossa è figlia della gestione dell’emergenza e delle complicazioni finora rilevate. La successiva creazione della seconda porzione di stagione regolare dovrà maniacalmente tenere conto del numero di gare rimanenti, oltre che dei rinvii decisi. Lo spazio di manovra per la NBA è presente, nel più sincero augurio che la situazione non precipiti. Ossia, che non si verifichino più casi come quello degli Washington Wizards. La NBA pubblica settimanalmente in maniera trasparente il numero di giocatori risultati positivi al test. Il bollettino di ieri ha registrato 11 nuovi atleti contagiati. Anche in questo caso, la curva è parsa in crescita nel mese di gennaio. Questo non è alquanto il parametro di riferimento, in quanto dal 17 dicembre, su 3.099 test sono soli 34 i giocatori risultati positivi.
Il regime di tracciamento dei contatti è il motivo per cui si assiste a ripetute assenze nei giocatori a disposizione degli allenatori. Questa rigidità deriva dall’intenzione della NBA di anticipare la penetrazione del virus. Si prevede un isolamento di 72 ore per i soggetti che hanno avuto una interazione con un altro individuo, contagiato o anch’egli a rischio. Tutto questo è ancor più lungimirante se si considera che sono presenti numerosi allenatori e membri degli staff che hanno un’età superiore ai 65 anni, quindi maggiormente a rischio. A questo si aggiunge la somministrazione di due test quotidiani e l’utilizzo di un braccialetto dotato di sensore da indossare nel tempo libero al di fuori delle attività di campo. Oltre che l’impostazione di una linea di comunicazione destinata alla segnalazione di violazioni.
Tanto difficile concepire un sistema di difesa più accurato, quanto impensabile sostenere di essere immuni al pericolo. La NBA ha posto ogni condizione per mettersi nella posizione più favorevole nella gestione di una emergenza che non ha eguali nella sua storia recente.