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Boston Celtics: il viaggio alla ricerca delle radici del Celtic Pride

di Gianni Giaccone
Boston Celtics

“Once a Celtic, forever a Celtic”: queste parole pronunciate da Paul Pierce esprimono forse nella maniera migliore ciò che rappresenta il Celtic Pride, lo spirito che anima i Boston Celtics, il fuoco che scorre nelle vene dei giocatori di questa franchigia definibile in una parola ed una sola, mitica.

Lo spirito di gruppo così come le grandi vittorie,i grandi campioni ed i grandi allenatori hanno caratterizzato e tutt’ora caratterizzano la franchigia di Boston, rendendola quasi mitica agli occhi degli appassionati. Potremmo dire che la grandezza dei Boston Celtics sta nel fatto che hanno vinto 17 titoli, più di ogni altra squadra nella storia NBA; potremmo dire che è il calore del TD Garden a renderli speciali. Ma sarebbe riduttivo: dietro c’è una storia fatta di volti, di idee, di emozioni che hanno marchiato a fuoco la pallacanestro. Proviamo, con tanto di zaino immaginario in spalla, ad entrare dentro questa storia ed iniziare il nostro grande viaggio biancoverde.

La nascita del mito dei Boston Celtics: gli inizi e l’arrivo di Auerbach

Boston, 1946. Il proprietario del Boston Garden, Walter Brown, ed il suo collaboratore Howie McHugh devono scegliere il nome della squadra di basket che rappresenterà la capita del Massachussetts nella neonata NBA. La scelta cade sul nome “Celtics”, per omaggiare la folta presenza di immigrati irlandesi all’interno della città. Da qui ha inizio la storia dei Boston Celtics. L’inizio non è particolarmente esaltante da un punto di vista dei risultati: la squadra fa fatica a competere con le migliori e le prime stagioni sono molte povere di soddisfazioni. Ma come in tutti i romanzi arriva quel momento la trama presenta una svolta e nel nostro viaggio, la svolta avviene all’inizio della stagione 1950: Arnold ” Red” Auerbach si siede sulla panchina di Boston.

“Red”, Bill e la “Dinastia” dei Boston Celtics

Auerbach è un personaggio di grandissima importanza nella storia del basket ed è uno dei pilastri del Celtic Pride. In più, oltre ad essere un vincente ed un innovatore, è stato il primo allenatore, nel 1964, ad avere nel quintetto base dei suoi Celtics 5 giocatori afroamericani. Ma andiamo con ordine: Auerbach porta per la prima volta la squadra ai playoff nel 1951 e i Celtics rimangono per qualche stagione al vertice della Eastern Conference con un posto fisso nella post-season. Il leader tecnico di quella squadra è Bob Cousy, una promettente guardia di grandissimo talento che Auerbach riesce a far maturare. Ma nel 1956 vengono aggiunti i due tasselli fondamentali per dare inizio ad un’incredibile stagioni di trionfi: Tom Heinsohn e, sopratutto, dai Bucks, la prima scelta assoluta Bill Russell. I Celtics battono in finale i St. Louis Hawks. Inizia la “Dinastia”.

Gli anni 1956-1969 sono incredibili: oltre agli 11 titoli in 13 anni di cui 8 consecutivi ( record nello sport americano), la squadra rende il Boston Garden teatro di partite iconiche e nasce il mito del Celtic Pride. Leggendaria la rivalità con i Lakers: in 6 occasioni le due squadre si fronteggiano in finale e per 6 volte sono i Celtics a trionfare. Particolarmente equilibrata la serie del 1969, decisa agli ultimi istanti di gara 6, nonostante le super prestazioni di Jerry West poi nominato MVP. Ma in questi anni il proscenio è tutto per Bill Russell: la sua leadership è devastante, il suo gioco è 20 anni avanti rispetto a tutti quelli degli altri. I suoi duelli con Wilt Chamberlain sono una delle pagine più belle delle sport americano: in campo Wilt lo faceva soffrire terribilmente, ma la sua mentalità vincente gli permetteva sempre di reagire e di portare a casa titoli su titoli. Inoltre, dopo il ritiro di Auerbach nel 1966, Russell diventa allenatore-giocatore guidando i Celtics per altre 3 stagioni. Nessuna squadra ha mai esercitato nella storia del NBA e, forse, nella storia dello sport, un dominio così netto per un periodo così lungo.

Larry Legend

Dopo il ritiro di Bill Russell, la squadra attraversa fisiologicamente un momento di crisi. Sotto la guida di Tom Heinsohm e con giocatori del calibro di John Havlicek, Dave Cowens e Jo-Jo White i Celtics portano a casa il titolo nel 1974 ( in una memorabile serie contro i Bucks di Kareem Abdul Jabbar) e nel 1976. Ma ecco che arriviamo ad un’altra svolta importante: tra il 1979 ed il 1980 si forma il nucleo che porterà i Celtics ad un altro periodo di gloriose vittorie. Robert Parish e Kevin McHale si uniscono a Larry Bird, che Boston aveva scelto nel 1978, in quella che viene definita la frontcourt più forte della storia. I risultati non tardano ad arrivare: i Celtics ritornano al titolo nel 1980, con la guida di coach Fitch, ma è solo l’inizio. Il Celtic Pride ritorna con grande vigore dopo qualche stagione di appannamento.

#Gametime ?

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L’impatto di Bird nella lega è devastante, ma i rapporti con coach Fitch si complicano e la situazione si fa complessa. Auerbach, diventato dirigente, sostituisce nel 1983 Fitch con Jones, ex giocatore dei Celtics. ” Larry Legend” vince l’Mvp ed i Celtics vincono il titolo in finale contro i Lakers. La rivalità tra i Celtics di Bird ed i Lakers di Magic, Kareem e dello showtime infiammano gli anni 80′: le due squadre si ritrovano in finale nell’85 e nell’87 ma questa volta la spuntano i giallo viola. In mezzo, i Celtics vincono il titolo 1986 in finale contro gli Houston Rockets. Negli anni successivi il declino fisico di Bird e l’emergere di squadre come i Pistons ed i Bulls che intaccavano il dominio bianco verde ad Est resero le cose difficili ai Celtics, che non riuscirono più ad arrivare in finale. Si chiude l’era Bird, fatta di trionfi e di grandi rivalità.

La rinascita con i Big 3 dei Boston Celtics (e Rajon!)

Nel 1992 si ritira Larry Bird ed inizia un lungo periodo di anonimato per i Celtics. Con stagioni veramente difficile che poco hanno a che vedere con il Celtic Pride di cui si è parlato. Nel 1995 però, bisogna segnalare l’abbandono della storico Boston Garden ed il trasferimento al TD Garden, l’attuale sede degli incontri del Celtics. Negli anni successivi le uniche speranze sono rappresentate dai giovani Antoine Walker e Paul Pierce, le cui prestazioni incantano nonostante non portino a grandi risultati. Ma qualche anno dopo, precisamente nel 2007, entra in scena un ex giocatore dei tempi di Larry Bird, che è stato ed è ancora indispensabile per la sua esperienza e per le sue capacità dirigenziali: Danny Ainge. Con una serie di scambi riesce a portare in Massachussets prima della stagione 2007-2008 Ray Allen e Kevin Garnett, che formavano con Pierce i  Big 3,agli ordini di coach Doc Rivers. La stagione è esaltante anche grazie ad un altro personaggio fondamentale e totalmente irripetibile: Rajon Rondo. Ancora oggi questo giocatore, seppur incostante ed inaffidabile, ci fa vedere delle giocate che ci fanno strabuzzare gli occhi. In alcuni tratti sembra essere lui il padrone della squadra ed è evidente come sia lui a controllare il ritmo del gioco. Si ritorna in finale, ancora contro i Lakers, questa volta di Kobe Bryant. Il progetto dei Big Three continua e nel 2010 abbiamo il re-match in una serie epica, che i Lakers vincono dopo quella che forse è stata la più bella gara 7 della storia delle finali NBA.

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L’era dei Big 3 si conclude definitivamente dopo il 2012, in cui i Celtics vengono eliminati dagli Heat di Wade e James in finale di Conference. Nonostante magari abbiano raccolto meno di quanto era previsto e programmato, i Celtics dell’era Big 3 sono stati sicuramente una delle squadre più amate degli ultimi anni, ma forse anche quella che ha incarnato meglio lo spirito del Celtic Pride: Pierce, Allen, Garnett, Rivers, Rondo sono tutti personaggi iconici del mondo NBA, quasi romanzeschi. Hanno infiammato per 5 anni il TD Garden mettendoci sempre quell’intensità, quella cattiveria, quello spirito di gruppo che sono il manifesto ideologico del mondo bianco verde.

 

Brad Stevens: presente e futuro del Celtic Pride

Il ricambio generazionale successivo all’era BIG 3 ha sicuramente comportato una flessione nei risultati. Sotto la guida di Brad Stevens però la squadra risale fino ad arrivare, l’anno scorso, a giocarsi le finali di Conference contro i Cavs, grazie soprattutto alle straordinarie prestazioni di Isaiah Thomas che tanto hanno infiammato il cuore degli appassionati NBA. Quest’anno, però, Ainge e Stevens hanno dato una clamorosa svolta al loro progetto tecnico, scambiando Thomas e portando a Boston Kyrie Irving, assicurandosi inoltre le prestazioni del free agent Gordon Hayward, ex Utah Jazz . Tutti sappiamo come è andata questa stagione per i Boston Celtics: Hayward fuori dopo i primi 5 minuti della prima partita, Irving che si infortuna nel finale di stagione. Ma c’è un’immagine che è iconica di quello che sono i Celtics oggi: Hayward viene soccorso dopo l’infortunio, Marcus Smart che disperato si agita muovendosi in maniera nervosa ma viene fermato e riportato nell’abbraccio di gruppo della squadra. E così poi succede che, sotto la guida geniale di Stevens, Tatum e Brown da giovani promesse diventano fenomeni affermati, Al Horford esercita una leadership eccezionale, Smart si tuffa su ogni pallone e Rozier alcune volte diventa imprendibile. E, nonostante tutto i Celtics sono lì, a giocarsi la finale di Conference, dimostrando che il Celtic Pride non è un semplice hashtag, ma un modo di vedere il basket, di stare in campo, di essere squadra.

Siamo arrivati alla fine di questa viaggio entusiasmante, dove abbiamo incontrato e conosciuto personaggi che hanno fatto la storia della franchigia e del gioco. Per concludere, dopo esserci guardiamo indietro, possiamo brevemente svolgere lo sguardo avanti: i Boston Celtics l’anno prossimo possono essere veramente, con il roster completo, una vera e propria contender e non più un outsider. Irving, Hayward, Tatum, Brown, Stevens, Smart: non sappiamo chi di loro diventerà una bandiera dei Celtics, a chi di loro verrà ritirata la maglia, chi sarà l’ennesimo bianco verde a finire nella Hall of Fame o quanti titoli vinceranno. Ma siamo certi che nei prossimi anni al TD Garden farà veramente calda, e ci si divertirà da matti.

” Once a Celtic, forever a Celtic”.

 

 

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