“If you don’t fall how are you going to know what gettin up is like”.
Se non cadi come fai a sapere cosa si prova a rialzarsi? Avrà pensato a questo, tra i miliardi di altri pensieri, quel 20 Giugno 2016. Quella data dal gusto ambiguo, contrapposto in una lotta a richiamo medioevale: soave e tremendamente piacevole per chi sostiene il Re, atroce e inaccettabile per chi marcia affianco al Guerriero.
Da quel 20 Giugno molto è cambiato, molto è rimasto lo stesso. Tra le differenze abbiamo qualche alleato in più e qualche alleato in meno, tra ciò che è rimasto, e rimane tutt’ora immodificabile è la fame, il talento e l’estro di Stephen Curry.
Il basket ci insegna che basta un possesso, a volte anche meno, per passare dal paradiso all’inferno, dal tetto del mondo all’ultima ruota del carro. Estremizzando il discorso, questo potrebbe essere quello che è successo a Stephen Curry: a Maggio alza il suo secondo MVP (all’unanimità) dopo una stagione degna del miglior MJ (se vogliamo esagerare) e il mese dopo è li, in ginocchia sul parquet della sua Oracle, con in mente la fresca fresca stoppata di LeBron James sul layup di Igoudala ma, soprattutto, con in mente la tripla clutch di Irving, proprio sulla sua faccia.
Ai giornalisti, pochi giorni dopo, racconterà le sue sofferenze, di quanto si senta in colpa per aver tradito la sua Baia, di quanto non riuscirà a dimenticare quella sconfitta eccetera, eccetera, eccetera.. frasi di circostanza, se vogliamo, che tuttavia appaiono sincere, d’altronde Golden State aveva già due mani e un piede sul Larry O’Brien. La tristezza è reale, certo, però tutto sommato i Warriors hanno appena infranto il record di vittorie in una regular season, Draymond Green è una macchina, Thompson è quello con il tiro più bello in NBA, e lui (Steph) ha appena infranto una dozzina di record… i motivi per essere ottimisti per la stagione successiva, e non solo, ci sono.
In estate succede quello che tutti sappiamo, chiamatela come volete, se ‘The Decision 2’ se ‘His next chapter’ o anche ‘il gesto da codardo’ decidete voi. Fatto sta che KD, Kevin Durant, lascia Oklahoma e si trasferisce a Golden State. Una squadra che ha battuto record su record fa mea culpa, dichiarando di non essere così forte come pensava.
I primi mesi di off season sono iper attivi, parte Bogut, parte Barnes, arriva West e arriva Pachulia, poi parte Ezeli, parte Speights, Barbosa, arriva McGee. Insomma, la squadra non è più quella delle 73-9 but no ring. E’ però una squadra apparentemente unstoppable. Il quintetto si vocifera debba essere con Curry (2 volte MVP), Thompson, Durant (MVP), Green, e se si vuole esagerare Iguodala (MVP delle Finals). Praticamente gli MVP delle ultime 3 stagioni in una squadra? Non giochiamo neanche! Consegniamoli i prossimi 3-4 titoli e via.
Poi si arriva a giocare sul serio, una brutta caduta a San Antonio rallenta solamente di poco la loro corsa alla testa della Western Conference. C’è qualche sconfitta in più rispetto all’anno prima, ma in fin dei conti la squadra è forte, fortissima. Ma, come si dice in questi casi: “però c’è un però”.
C’è che il numero 30 non ingrana, c’è che il 30 non mette a segno neanche una tripla in una partita (e non succedeva dal 1976), c’è che le sue percentuali sono in caduta libera. I più estremisti sostengono anche che ormai non sia più il volto di Golden State, che non sia più la faccia di quella squadra che proprio lui ha riportato sul tetto del mondo, dopo un’assenza quarantennale, chi crede che potrebbe addirittura lasciarla quella squadra, al termine dalla stagione.. pazzi.
Fino a Gennaio va così: qualche giocata delle sue, qualche flashback a quello che era e qualche quarantello. Però non ha più la confidenza in sè stesso che aveva gli anni precedenti. Le palle passano sempre di più per le mani di KD, e anche Klay vuole parte del palcoscenico.
Gli Haters si scatenano “Visto? E’ solo un tiratore”, “E’ un fuoco di paglia”, “Un paio di stagioni fortunate”. Esagerano, però valli a contraddire.
Poi però arriva Gennaio, Steph si scrolla di dosso un pò di tensione e un pò di polvere e comincia a giocare e il risultato è solo uno: giocatore del mese.
Inutile stare a recuperare statistiche e percentuali dell’ultimo mese, servono più ad altri di quanto non servano a noi. Resta il fatto che Curry ha dimostrato che quando vuole accendere la luce è ancora in grado di abbagliare, che quando vuole, il vestito da MVP gli sta ancora benissimo e che con quella Spalding tra le mani fa quello che vuole.
Non sappiamo i motivi di questo inizio così rallentato, le cause sono molte che vanno da quelle banali come l’arrivo di KD o la delusione della sconfitta di Giugno, a quelle più illuministiche quali i pensieri di free agency. Non sappiamo neanche se Golden State vincerà il titolo quest’anno, quello che però sappiamo è che quando Stephen Curry decide di giocare da Stephen Curry ha ancora la sua da dire, quindi aspettiamoci grandi cose.