La storia del basket jugoslavo, le origini del mito della grandiosa cultura cestistica nei paesi dell’ex Jugoslavia, oggi parliamo di Jugoplastika Spalato.
Negli anni ottanta il movimento cestistico jugoslavo visse un periodo che definire felice sarebbe oltremodo eufemistico. Il Bosna Sarajevo trionfando in Eurolega indicò alle altre squadre made in YU la via, il Cibona Zagabria replicò bissando consecutivamente il proprio successo europeo. Ma il meglio doveva ancora venire…
Jugoplastika Spalato: la rabbia giovane
Negli anni settanta la Jugoplastika Spalato aveva vissuto un periodo di gloria che le avevano fruttato due campionati, tre coppe nazionali, due coppe Korać (1976 e 1977, in entrambe le occasioni in finale capitolarono team italiani: Torino e Fortitudo) ed una finale di Eurolega persa contro Varese nella stagione 1971-72. L’allora icona spalatina baskettara era il mitologico Petar Skansi che aveva fatto le fortune del club prima come giocatore, poi come allenatore. Ma finita l’era-Skansi un velo opaco cadde sul basket (košarka) dalmata. L’apice della crisi avvenne durante la stagione 1985-86: risultati pessimi e squadra in zona retrocessione e così coach Slavko Trninic venne licenziato e al suo posto venne chiamato Zoran Moka Slavnić, autentica leggenda del basket jugo. In piena emergenza Moka non esitò ad affidarsi ad un gruppo di ragazzini che contribuirono enormemente alla salvezza del team; allora nessuno lo poteva sapere ma quel gruppo di imberbi cestisti avrebbe fatto la fortuna di Spalato giacché sarebbe divenuto, un paio di stagioni più tardi, lo zoccolo duro di quella che per alcuni fu la migliore squadra jugoslava di sempre.
Ma chi erano questi fenomeni in erba tutti esordienti durante la stagione 1985-86? Il primo debuttante era la guardia Velimir Perasović (classe 1965) quindi il centro Goran Sobin (classe 1963), dulcis in fundo le superstelle: l’ala Toni Kukoč (classe 1968) ed il pivot Dino Rađa (classe 1967), due fenomeni assoluti, capaci di fare la differenza sia in patria, sia in Europa, sia negli Usa. Kukoč, talento universale, autentico prodigio e sintesi perfetta di atletismo e tecnica grazie ad una coordinazione psicofisica ultraterrena, era per molti l’erede di Dražen Petrović; Rađa, maturo già da bambino, possedeva due qualità enormi: una deflagrante rapidità fisica ed un’assoluta adattabilità a qualsiasi schema o situazione di gioco. È evidente che i due abbiano segnato un’epoca nel continente e che, per i cultori del basket balcanico, risiedano nell’Olimpo dei grandissimi, insieme a pochi altri. Faceva parte della “compagnia” anche il fanciullino Žan Tabak (centro, classe 1970) che anno dopo anno vide il proprio minutaggio aumentare. A questo gruppo, composto esclusivamente da spalatini che avevano fatto la trafila nelle giovanili della squadra, si aggiunse l’anno dopo il play serbo Zoran Sretenović (classe 1964) e nel 1987 l’esperta guardia montenegrina Duško Ivanović (classe 1957).
I virgulti spalatini lanciati da Moka Slavnić divennero uomini nell’ansia dell’emergenza e vennero successivamente coltivati da coach Božidar Boža Maljković, chiamato nell’estate 1986 a prendere in mano le redini della team. Maljković aveva allenato soprattutto in Serbia e nelle leghe minori, ma sapeva instaurare coi giovani un ottimo rapporto – era stato responsabile del settore giovanile della Stella Rossa – e l’esperienza non gli mancava: insegnava basket da quando aveva diciannove anni ed era un serbo di Croazia. Mai scelta fu più giusta perché due anni più tardi, stagione 1987-88, gli žuti (gialli, soprannome della squadra) tornarono ad essere campioni di Jugoslavia dopo nove anni, ormai l’Europa li aspettava.
E così dopo il Bosna Sarajevo di Tanjević e Delibašić e dopo il Cibona Zagabria di Petrović, all’orizzonte apparve un altro squadrone della terra degli slavi del sud: la mocciosa Jugoplastika Spalato di Kukoč&Rađa.
Jugoplastika Spalato: stagione 1988-89 – Europa molto amore
La Jugoplastika per affrontare al meglio la sua terza partecipazione in Eurolega si attrezzò a dovere con l’aggiunta al roster del serbo nativo del Montenegro Luka Pavićević, un playmaker ventenne con due anni in NCAA con University of Utah ed un anno nel Cibona.
Agli ottavi, disputati a novembre, i ragazzi di coach Maljković trovarono i portoghesi dell’Ovarense che vennero sconfitti senza particolari patemi. Quindi, essendo la formula della competizione mutata, lo Spalato si trovò ad affrontare il quarto di finale che era un girone a otto squadre. Le altre qualificate erano: Maccabi Tel Aviv, finalista perdente delle ultime due edizioni (in entrambe le occasioni sconfitto da Milano), Barcellona che nelle quattro stagioni precedenti aveva vinto due Coppe delle Coppe, una coppa Korać e tre campionati spagnoli, l’Arīs Salonicco dominatore assoluto – grazie alla coppia Galīs-Giannakīs – della lega greca negli anni ottanta, il Limoges che l’anno prima aveva vinto la Coppa delle Coppe, i campioni d’Italia di Pesaro che nelle stagioni precedenti avevano perso due finali di CoppaCoppe, la corazzata sovietica CSKA Mosca ed il Den Bosch, compagine olandese che in quegli anni viveva il suo momento di massimo fulgore. I dalmati, nonostante la presenza nel roster di Kukoč&Rađa – bronzi europei ’87 ed argenti olimpici ’88 – vennero indicati da molti, assieme agli olandesi, come gli underdogs.
Gli incontri si disputarono fra dicembre e marzo. All’esordio casalingo trovarono un’agevole vittoria (87-78) sul Limoges (32 punti di Ivanović), mentre alla prima fuori casa, a Pesaro, persero (88-75). Il copione seguì identico nelle seguenti due partite: vittoria (86-79) in patria sugli olandesi (20 le marcature di Kukoč e Perasović), sconfitta in terra iberica (79-70). Nelle due successive partite interne gli spalatini ebbero la meglio sull’Arīs (94-83; 23 punti sia di Rađa, sia di Kukoč) e sui sovietici (89-77; 24 punti di Rađa), ma al terzo match alla Dvorana Gripe – la “casa” dello Spalato – incapparono in una sconfitta di misura ad opera del Maccabi (85-86). Il girone di ritorno iniziò con una sconfitta in terra francese (95-93; 25 punti di Sretenović) a cui seguirono però tre successi consecutivi: su Pesaro (88-65; 23 by Kukoč), sul Den Bosch (83-88; 27 i punti di Ivanović) e sul Barça (84-79 con 19 segnature di Perasović). Le sconfitte in terra ellenica (96-85) ed in Israele (102-90), inframezzate dalla larga vittoria in Urss (77-91; tonitruante quella notte Rađa: 28 punti) furono gli ultimi incontri della Jugoplastika che, classificatasi terza ebbe accesso alle final four che si disputarono dal 4 al 6 aprile all’Olympiahalle nell’Olympiapark di Monaco di Baviera. Alle finali si qualificarono anche il Maccabi (primo) il Barcellona (secondo) e l’Arīs (quarto). Ancora una volta nessuno indicava lo Spalato come possibile campione.
Ma gli jugoslavi ci credevano eccome. Božidar Boža Maljković infatti chiese una consulenza tecnica al padre della pallacanestro jugoslava: Aleksandar Aca Nikolić, già maestro di Bogdan Boša Tanjević e Mirko Novosel, rispettivamente allenatori del Bosna Sarajevo e del Cibona Zagabria campioni d’Europa. Nelle due settimane prima delle finals Nikolić impresse nelle menti dei giocatori precisi ed accurati schemi, arricchendoli di una sicurezza difensiva di cui erano fin lì sprovvisti.
Il 4 aprile la Jugoplastika affrontò il Barcellona in semifinale ed i risultati del lavoro del mitologico Nikolić si videro subito giacché la capacità offensiva catalana venne detonata, il miglior realizzatore blaugrana fu San Epifanio con appena 16 punti; lo score dopo la sirena recitava: Barcellona 77-87 Jugoplastika Spalato con Toni Kukoč – 24 punti – mattatore della serata. Nell’altra semifinale gli israeliani avevano avuto la meglio sui tessalonicesi e così il 6 aprile il Maccabi Tel Aviv – alla sua settima finale – e la Jugoplastika – alla seconda finale – si giocarono il titolo di campioni d’Europa.
Il Maccabi si presentò sicuro che la coppa, al terzo tentativo consecutivo, sarebbe stata sua. Sulla panchina sedeva Zvi Sherf, già alla guida della squadra due anni prima a Losanna, quando i gialloblù persero la prima delle finali contro i meneghini. Il roster del Tel Aviv era di tutto rispetto, ne facevano parte: le ali statunitensi Kevin Magee (ex Varese, sarebbe poi morto di incidente stradale come Petrović) e Ken Barlow (già campione continentale con Milano), il centro Lavon Mercer e la guardia Willie Sims (entrambi from States) e Doron Jamchi, guardia ed autentica istituzione del basket israeliano.
L’inizio della partita fu subito degli jugoslavi che però ad inizio secondo quarto si trovarono in svantaggio, ma il primo tempo si chiuse, tuttavia, in parità (35-35). Se il Maccabi poteva contare su maggiore esperienza e su grandi individualità – che però spesso non collaboravano come avrebbero dovuto – lo Spalato aveva un collettivo che di volta in volta poteva essere trascinato indifferentemente da uno qualsiasi dei suoi componenti, dimostrando grande flessibilità e spirito di squadra. La seconda frazione di gioco continuò punto su punto, possesso per possesso, tuttavia nel finale i croati riuscirono ad aumentare il vantaggio ed a sessanta secondi dalla sirena Rađa in ripartenza piazzò il canestro che chiudeva i giochi (75-69 lo score finale).
E così la Jugoplastika Spalato divenne la terza compagine made in YU a vincere l’Eurolega con Dino Rađa, 20 i suoi punti quella notte, che venne votato anche MVP della finale (top scorer Jamchi: 25). Tutti avevano sottovalutato quel gruppo di ragazzini ed avevano commesso un grossolano errore.
La stagione di Spalato non si concluse “solo” con l’Eurolega nel carniere: gli žuti conquistarono anche il campionato battendo in una finale remake di quella dell’anno precedente il Partizan. Nell’atto conclusivo della coppa nazionale, (disputata a Maribor) il Partizan si “vendicò” e sconfisse la Jugoplastika: unica ed ultima nota amara poiché nelle due stagioni successive Spalato vinse tutto.
Jugoplastika Spalato: stagione 1989-90 – Repeat
Dopo la vittoria della lega nazionale e la conquista dell’Europa la Jugoplastika Spalato alzò l’asticella e puntò alla conquista della triple crown: campionato, coppa nazionale, Eurolega. Impresa non facilissima ma già compiuta pochi anni prima dalla Cibona Zagabria. A tal scopo in estate il roster della squadra venne rinforzato con l’arrivo di giovani virgulti con un ricco bagaglio di aspettative e speranze: l’esordiente centro serbo di Bosnia Zoran Savić, il play macedone cresciuto nel vivaio spalatino Petar Naumoski (successivamente in Italia) e Aramis Naglić, ala fiumana con già sei stagioni al Kvarner; nessuno dei tre aveva più di ventiquattro anni. Mentre i nuovi arrivati prendevano confidenza con l’ambiente Kukoč&Rađa accrescevano la loro leggenda vincendo con la nazionale jugoslava l’oro agli Europei di Zagabria.
Agli ottavi di Eurolega i dalmati spazzarono via gli scozzesi del Livingston e si ritrovarono nuovamente nel girone da otto squadre-quarto di finale. Si erano qualificate tutte le semifinaliste dell’anno precedente (Maccabi Tel Aviv, Barcellona e Arīs), il Limoges (presente ai quarti dell’edizione precedente), Milano (che nelle tre annate precedenti aveva vinto due Euroleghe), il Den Helder (compagine olandese non più esistente ma che fra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta in patria ebbe effimero momento di gloria) e il Lech Poznań (squadra polacca scomparsa ma a quel tempo punta di diamante del movimento baskettaro nazionale).
Come pronosticabile la Jugoplastika non ebbe alcun tipo di difficoltà contro olandesi e polacchi che si dimostrarono poca cosa. Anche Milano e Tel Aviv non si dimostrarono all’altezza dei campioni in carica, questi però ebbero maggiori problemi con Barcellona, Limoges ed Arīs, vale a dire le altre qualificate alle finals. In casa la Jugoplastika perse solo contro l’Arīs (85-89) grazie ad una sontuosa prestazione di Galīs (38 punti); i dalmati però si rifecero in Grecia (79-80) con una grande performance di squadra: 16 punti di Kukoč, 15 di Rađa, 12 di Pavićević e Sobin. Le trasferte in Catalogna ed Aquitania si rivelarono ricche di insidie viste le vittorie del Barça (79-73) e del Limoges (100-93). A loro volta iberici (86-73; 24 punti di Rađa) e transalpini (103-83; 30 di Kukoč) dovettero soccombere in trasferta in terra croata.
Le final four si svolsero a Saragozza al Pabellon Principe Felipe dal 17 al 19 aprile. La Jugoplastika in semifinale giocò contro il Limoges che fu superato agevolmente (101-83) grazie ad un’ottima prestazione offensiva, quattro cestisti croati finirono l’incontro in doppia cifra realizzativa: Perasović 24, Ivanović 20, Savić 16, Rađa 10.
La finale fu disputata il 19 aprile e l’avversario dello Spalato era il Barcellona. I blaugrana si presentarono con un roster che appariva ai più come una corazzata, l’ala Juan Antonio Epi San Epifanio Ruiz, già argento olimpico a L.A., capitanava una formazione che aveva fra le proprie file alcuni dei migliori cestisti iberici migliori di sempre – l’ala Andrés Jiménez ed il play Ignacio Nacho Solozábal – ed un paio di statunitensi – David Wood, poi in NBA, e Audie Norris, ex Portland – capaci di alzare ulteriormente il livello tecnico della formazione. Il coach dei catalani era il madrileno Alejandro Aíto García Renese, futuro oro olimpico a Pechino. Fra Jugoplastika Spalato e Barcellona v’era una sostanziale differenza d’età, tuttavia gli azulgrana pensarono di poter esorcizzare la freschezza atletica spalatina confidando sull’esperienza e sulla sete di rivalsa dopo l’eliminazione in semifinale dell’anno precedente.
L’inizio dell’incontro vide il Barça imporre agli jugoslavi un rimo insostenibile ed un forcing offensivo altissimo. Tuttavia il gran dispendio di energie non permise agli iberici di allungare sensibilmente sul punteggio o di prendere in mano il pallino del gioco. La Jugoplastika rispose al furore catalano con raziocinio: ottima difesa e grande concretezza in attacco, ciò permise ai ragazzi di coach Boža di chiudere in vantaggio la prima frazione di gioco (40-36). All’inizio del secondo tempo Spalato allungò, grazie ad una impermeabile difesa a zona, per poi, causa rilassamento dovuto alla giovane età dei giocatori, farsi riacciuffare nel punteggio ed addirittura superare. Ma il vantaggio iberico durò un amen e gli spalatini videro le streghe solo per un istante: trascinati da Toni Kukoč tornarono avanti ed annichilirono letteralmente gli avversari nel finale. Quando il match finì il risultato era Jugoplastika Spalato 72-67 Barcellona e così per la seconda volta (consecutiva) Spalato si prese l’Europa.
I ragazzi terribili avevano colpito nuovamente: i marmocchi avevano insegnato ancora una volta ad avversari con maggiore esperienza come giocare a basket. Toni Kukoč che in quella dolce notte primaverile aragonese aveva marcato 20 punti (top scorer della finale) venne votato MVP della manifestazione.
Le vittorie nella Prva savezna košarkaška liga e nella coppa nazionale (finale a Ragusa) – in entrambi i casi la Stella Rossa era l’agnello sacrificale – fecero eco al trionfo europeo.
Pop84 Spalato: stagione 1990-91 – Threepeat
Dopo l’indigestione di vittorie e trionfi su Spalato soffiò una leggera brezza di cambiamento. Nell’estate del 1990 la squadra mutò denominazione e divenne Pop84 (brand italiano di jeans) Spalato. Inoltre pezzi importantissimi della squadra cambiarono aria: Boža Maljković accettò la corte del Barcellona ed a Spalato approdò Željko Pavličević (già campione d’Europa nel 1986 con il Cibona), Goran Sobin decise di vestire la canotta dell’Arīs Salonicco, Duško Ivanović si trasferì a Girona mentre Dino Rađa firmò per la Virtus Roma. Altra novità degna di nota: la presenza, caso più unico che raro, nel roster spalatino dello statunitense Avie Lester. Sempre durante l’estate Kukoć, Perasović e Savić si laurearono campioni al Mondiale argentino.
In Eurolega dopo aver eliminato agli ottavi di finale il Galatasaray Pop84 accedette al solito girone a otto squadre che appariva sempre più come una sintesi fra un rendez-vous ed un regolamento di conti. Infatti erano presenti alcune compagini che Spalato conosceva bene: Barcellona, Maccabi Tel Aviv, Arīs Salonicco e Limoges, allenato quell’anno dall’istituzione del basket europeo Aleksandr Gomel’skij (coach capace di vincere cinque Euroleghe, due Mondiali, sette Europei). Oltre a queste formazioni erano presenti: Pesaro, campione d’Italia che nella precedente stagione aveva perso una finale di Korać, Bayer Leverkusen dominatore della lega tedesca, ed i londinesi del Kingston, franchigia non più esistente. Il girone d’andata per i campioni in carica fu un autentico incubo.
Dopo l’esordio casalingo con vittoria (86-66 e 25 punti Savić) contro Pesaro di coach Scariolo – attuale assistente a Toronto e tre volte oro europeo – vi fu la vittoriosa ma sofferta trasferta (87-89; 28 punti grazie a Perasović) a Londra dove fu necessario un supplementare per avere ragione dei carneadi britannici. Era il campanello d’allarme. Infatti a Spalato il Barcellona vinse (87-91), in Grecia arrivò un’altra sconfitta (92-71, 8 punti dell’ex Sobin), con il non trascendentale Leverkusen vi fu solo una vittoria risicata (85-84; 26 by Savić) ed in terra dalmata il Maccabi vinse (70-72). Nell’ultima partita Pop84 ebbe ragione del Limoges (73-84; 28 le marcature di Perasović). La classifica non sorrideva ai bicampioni d’Europa capaci fin lì di perdere tre partite e di balbettare davanti a compagini modeste come Kingston e Leverkusen. Il girone di ritorno, durante il quale trovò sempre più spazio lo statunitense Lester, fu giocato meglio ma i risultati non cambiarono granché e secondo molti il ciclo di Spalato era terminato. Nelle Marche Spalato vinse (105-106; 40 punti di Kukoč, 26 di Perasović e Savić), quindi larga vittoria sugli inglesi (91-72; 23 di Kukoč), ma a Barcellona giunse una nuova sconfitta (92-85). Nei due match seguenti vi furono due larghe vittorie: in casa sull’Arīs (93-63; 26 targati Perasović, 10 i punti di Sobin che continuava a non fare sconti agli ex compagni) ed in Germania (87-103; 32 di Perasović). Successivamente: pesantissima sconfitta in Israele (103-65; top scorer dei croati: Lester,14 seguito da Tabak, 12) e la prevedibile vittoria sul Limoges (92-88; 18 di Lester). E così Pop84 Spalato si qualificò come secondo alle final four di Parigi con il Barça, primo e dato da tutti come favorito, Pesaro e Maccabi, rispettivamente terzo e quarto.
L’arena di gioco parigina era il Palais Omnisports a Bercy, settimo arrondissement. Le semifinali furono disputate il 16 aprile e nella prima il Barcellona travolse il Maccabi (101-67). Spalato giocò contro Pesaro. Persistevano alcune difficoltà – il primo tempo si chiuse a favore degli italiani – ma gli jugoslavi riuscirono a vincere (93-87; 25 di Savić) e ad accedere ancora una volta alla finale.
Il 18 aprile davanti a quasi 14mila persone si ritrovarono l’uno davanti all’altro Pop84 e Barcellona. Quest’ultimo, alla terza finale di Eurolega, era intenzionato più che mai a prendersi il trofeo. Per questo durante l’estate precedente si era attrezzato rinforzando l’organico. Ai leggendari senatori San Epifanio, Jiménez, Solozábal e Norris vennero aggiunti il portoricano, già Utah Jazz, José Piculín Ortiz ed il catalano José Antonio Montero, vincitore nella stagione precedente della Korać con Badalona. Ma soprattutto era arrivato proprio da Spalato un allenatore due volte campione d’Europa. E così per uno strano quanto beffardo scherzo del destino il “maestro” si giocava il trofeo più importante del continente contro i suoi “allievi”. Alla finale ognuna delle due squadre giunse con i propri demoni: il Barça temeva di perdere per la terza volta l’atto conclusivo della manifestazione, mentre lo Spalato temeva di subire la terza sconfitta stagionale per mano dei blaugrana. Ma mentre i secondi, parafrasando Federico Fiumani, brindarono coi propri demoni, i primi ne vennero soggiogati.
L’approccio iberico alla partita fu buono ma durò un nonnulla. Gli spalatini, incoscienti per età e per sicurezza nei propri mezzi, presero in mano l’incontro con una difesa ermetica ed un gioco offensivo molto fantasioso e chiusero il primo tempo in vantaggio (40-34). Il Barça intanto viveva un incubo: i migliori giocatori sembravano in giornata no ed il potenziale offensivo era ingolfato. Match in discesa per i dalmati, quindi? Niente affatto giacché dopo il terzo quarto gli spagnoli tallonarono a meno 2 i campioni d’Europa. Si dovesse indicare il momento cruciale di questa finale in cui Pop84 meritò la coppa fu proprio questo: con il Barcellona in rimonta col sangue agli occhi, gli jugoslavi, pur con parecchie seconde file in campo, mantennero il sangue freddo, non tremarono, seppero gestire il momento delicato dimostrando una maturità incredibile. Non a caso allungarono nel punteggio e fecero loro la partita (70-65) e quindi la coppa: la terza consecutiva, impresa fin lì riuscita solo al Riga nelle prime tre edizioni della manifestazione, più di trent’anni prima. Top scorer della serata Savić (27 punti), mentre l’MVP fu vinto da Kukoć.
Anche in questa stagione Pop 84 fece il pieno di successi: in campionato gli žuti sconfissero in finale il Partizan, mentre in finale di coppa nazionale (a Fiume) sconfissero il Cibona. Per Spalato fu ancora una volta triple crown, proprio come l’anno precedente: seconda squadra jugoslava a riuscirci e prima a farlo due volte. Poche settimane più tardi Kukoć, Perasović, Sretenović e Savić vincendo l’Europeo si regalarono un trionfale colpo di coda ad una stagione gloriosa.
Se il movimento cestistico jugoslavo ad inizio anni novanta toccava il suo massimo splendore così non si poteva dire della Jugoslavia. Il paese si stava disgregando e nemmeno troppo lentamente. In Croazia i moti separatisti e nazionalisti erano inarrestabili ed i serbi di Croazia, risiedenti nella Krajina, rispondevano alle istanze indipendentiste di Zagabria con l’autoproclamata separazione. Intanto a Pakrac, ai laghi di Plitvice e a Kijevo avvenivano le prime sparatorie, mentre a Borovo Selo gli scontri oltrepassavano gli steccati del “semplice” conflitto a fuoco per tracimare nel granguignolesco.
In quegli anni gli Električni orgazam, band belgradese, spopolavano in patria con la canzone Igra Rok’en’rol cela Jugoslavija, cioè “Tutta la Jugoslavia canta il rock’n’roll”, sì ma quale Jugoslavia? Prima della fine del 1991 Slovenia, Croazia e Macedonia si dichiaravano indipendenti.
Jugoplastika/Pop84 Spalato: whatever happened?
Božidar Boža Maljković: dopo un biennio a Barcellona si è trasferito a Limoges dove ha vinto la sua terza Eurolega, stagione 1992-93, si è successivamente accasato al Panathinaikos con cui, nella stagione 1995-96, ha vinto la sua ultima CoppaCampioni. Con Malaga ha vinto una Coppa Korać nell’annata 2000-01. Dal 2010 al 2014 è stato l’allenatore della nazionale slovena. La sua ultima esperienza in panchina risale al 2012 nel Cedevita. Il suo nome figura fra i cinquanta contributors dell’Eurolega.
Velimir Perasović: nel 1992 ha lasciato Spalato per proseguire la propria carriera in Spagna. Con Baskonia nel 1996 ha vinto una Coppa delle Coppe. Con la nazionale croata è stato argento olimpico nel 1992 e bronzo europeo nel 1993 e 1995. Al termine della carriera è diventato allenatore ed ha lavorato in Spagna, Croazia e Turchia prendendosi molte soddisfazioni.
Žan Tabak: ha lasciato Spalato nel 1992 per trasferirsi in Italia, una stagione a Livorno, una a Milano quindi il grande salto verso l’NBA: Houston Rockets (con cui nel 1995 ha vinto l’anello), Toronto Raptors, Boston Celtics, Indiana Pacers, le tappe del suo percorso negli States. L’argento olimpico ’92 e bronzo europeo ’93 ha chiuso la carriera da giocatore in Spagna, dove ha iniziato anche ad allenare. Nel 2017 a Siviglia la sua ultima esperienza lavorativa.
Zoran Sretenović: ha lasciato Spalato dopo la terza Eurolega ed ha proseguito la propria carriera fra Germania, Francia, Serbia e Polonia. Nel 1995 con la Jugoslavia (intesa come Serbia, Montenegro e Kosovo) ha vinto il suo secondo oro europeo. Nel 2001 ha cominciato ad allenare nella penisola balcanica per poi ritornare in Polonia.
Duško Ivanović: dopo aver lasciato la Jugoplastika ha proseguito la propria carriera fra Girona, Limoges e Friburgo. Ha poi allenato e vinto in Francia, Spagna e Grecia. Dal 1997 al 2000 ha allenato la Svizzera e dal 2014 al 2016 è stato l’allenatore della nazionale bosniaca.
Luka Pavićević: nel 1991 la lasciato Pop84 ed ha continuato in Ungheria, Finlandia, Israele, Polonia, Macedonia ma soprattutto in Serbia. Ha allenato in Serbia, Francia, Germania e Montenegro. Da un anno lavora in Giappone.
Zoran Savić: anche lui ha preso parte alla diaspora spalatina del 1991 trasferendosi in Spagna, quindi in Grecia, Italia e Turchia. Con il PAOK Salonicco ha vinto una Korać nel 1993-94, con la Virtus Bologna ha vinto l’Eurolega nella stagione 1997-98. Argento olimpico 1996, oro europeo 1995 e 1997.
Aramis Naglić: nel 1993 si trasferisce alla Reyer Venezia, dopo un anno torna in Croazia dove termina la carriera nel 2005. Attualmente è assistente sulla panchina della Croazia e allenatore dello Zara. Nel tempo libero aiuta i motociclisti in difficoltà.
Avie Lester: attualmente insegna ed allena alla North Raleigh Christian Academy (NC).
Goran Sobin: ha abbandonato la pallacanestro ed è diventato un commerciante di prosciutti.
Dino Rađa: a Roma, dove resta tre anni, vince una Coppa Korać (1992), successivamente accetta la corte dei Boston Celtics con cui gioca per un quadriennio. I Celtics di metà anni novanta non attraversavano un momento felice e per Dino le soddisfazioni sono poche. Ritorna in Europa nel 1997 e si divide fra Grecia e Croazia. Nella stagione 1993-94 finisce, assieme a Kukoć, nel secondo quintetto NBA All-Rookie Team. Oro europeo con la Jugoslavia nel 1991, con la Croazia è stato argento olimpico ’92, bronzo mondiale ’94 ed europeo ’93 e ’95. È inserito fra i 50 contributors dell’Eurolega.
Toni Kukoč: dopo la terza Eurolega vinta lascia Spalato per Treviso e dopo un paio di stagioni si trasferisce in NBA: sette anni a Chicago (con grande scuorno di Scottie Pippen), uno a Philadelphia, uno ad Atlanta e quattro a Milwuakee. Con i Bulls altro threepeat e nella stagione 1995-96 è sesto uomo dell’anno. Con la Croazia è argento olimpico a Barcellona, bronzo mondiale ’94 ed europeo ’95. È inserito fra i 50 contributors dell’Eurolega e nella Fiba Hall of fame.
Artwork by Marija Markovic
Nella prossima puntata vedremo il cammino europeo del Partizan Belgrado nella stagione 1991-92