Home NBA, National Basketball AssociationApprofondimenti “The First Slam Dunk”: è davvero così bello o solo sopravvalutato?

“The First Slam Dunk”: è davvero così bello o solo sopravvalutato?

di Carmen Apadula

Vi sgancio subito la bomba. A me, “The First Slam Dunk” non è piaciuto. E adesso vi spiego subito il perché.

Premetto che non sono una grande fan di anime e manga, e che non nascondo assolutamente la mia ignoranza in materia, ma cercherò di essere il più oggettiva possibile.

“The First Slam Dunk” è un lungometraggio animato, scritto e diretto da Takehiko Inoue, in concerto con Yasuyuki Ebara.

Come sanno anche le pietre in mezzo alla strada, è ovviamente tratto dal celeberrimo manga sportivo, serializzato su Weekly Shōnen Jump tra il 1990 e il 1996.

Pur non essendo un’esperta di anime, o di cinema in generale, di film a tema basket ne ho consumati parecchi, e devo dire che non mi sono imbattuta spesso in rappresentazioni così precise riguardo all’azione e al gesto atletico.

In questo, il merito è tutto dell’animazione. La flessibilità di quest’ultima ha contribuito a rendere iper-realistici i movimenti dei giocatori, che riescono a concludere azioni degne della NBA, oltre a permettere alla messa in scena di servirli allo spettatore in maniera efficace, leggibile e galvanizzante.

Dal punto di vista tecnico, il film è quasi un ibrido, cosa che ha attirato non poche critiche.

Mescola l’animazione tradizionale con la CGI, ma non come i soliti film giapponesi. Qui, la sintesi funziona, dando vita a personaggi espressivi e pieni di vita.

Ma veniamo alla trama. 

Il film rilegge la celeberrima partita tra lo Shohoku e la Sannoh, una delle squadre più forti del Giappone, dal punto di vista di Ryota Miyagi, il playmaker della squadra della Shohoku.

E’ forte la presenza di flashback, che ci introducono la sua l’infanzia (trascorsa a Okinawa), il rapporto con il fratello (anch’egli giocatore di basket), la sua morte, il successivo trasferimento a Kanagawa e gli scontri con Mitsui.

L’inizio è uno di quelli spiazzanti. Dopo un breve preambolo incentrato su Ryota, lo schermo diventa bianco. Da qui, riappare Ryota, come se qualcuno lo stesse disegnando proprio in quel momento. A disegno concluso, il personaggio si anima, e inizia a camminare verso lo spettatore. 

Uno dopo l’altro, appaiono poi gli altri 4 membri della Shohoku. Quando la squadra è al completo, lo sfondo si colora ed entriamo nel vivo del film e della partita.

Con questa sequenza, Inoue ha voluto subito mettere le cose in chiaro, per quanto riguarda la definizione del passaggio e il collegamento tra l’origine della storia e questo film

Non è un caso che inizi in medias res: dopo l’incipit dedicato al passato di Ryota, ci ritroviamo subito catapultati nel bel mezzo di una partita decisiva. I secondi passano, mentre il distacco fra la Shohoku e gli avversari si fa sempre più importante, fino a quando i giocatori non decidono di mettercela tutta, nonostante la stanchezza e le difficoltà individuali

Sakuragi è un cavallo pazzo, la fusione tra Dennis Rodman e Darryl Dawkins. Il “contrario” della squadra, una macchina di agonismo, improvvisazione e follia. Akagi, il leader, affronta la sua fragilità, il suo sentirsi il peso sulle spalle, la sua sensazione di non essere all’altezza delle proprie ambizioni. Mitsui simboleggia il bullismo, piaga nel sistema scolastico giapponese, redento ma allo stesso tempo un po’ in disparte.

Permane la rivalità tra Sakuragi e Rukawa, che, come nella più classica della narrativa anime giapponese, alla fine impara che non può farcela da solo.

Ma veniamo ai due grandi problemi che ho riscontrato nella visione di questo film. 

Innanzitutto, i flashback

Personalmente, credo siano stati inseriti in contesti sbagliati. E’ stato estremamente difficile capire che fossero proprio dei flashback, se non grazie ad alcuni tratti caratteristici dei personaggi, e restavo parecchio confusa nei momenti di stacco tra questi ultimi e la partita. 

In secondo luogo, i silenzi

Sappiamo tutti benissimo che gli anime sono caratterizzati da silenzi. Ma stavolta, ahimè, erano estremamente fuori luogo. L’obiettivo sarebbe quello di creare una certa suspence, ma non si riesce ad ottenere l’effetto sperato, in quanto è stato mostrato poco prima quello che è successo. Potremmo dire che sono messi lì per fare minuti, o almeno così sembra. 

Non sapevo esattamente cosa aspettarmi da “The First Slam Dunk”. 

Un po’ a causa della storica incompatibilità tra il Giappone e la CGI, un po’ per i rischi legati all’economia narrativa di un’operazione del genere, un po’ perché non è scontato che un mangaka sia in grado di lavorare bene anche con gli anime, nonostante l’assistenza di un direttore dell’animazione come Ebara. 

Sì, la trama funziona. Sì, le tecniche di animazione sono impeccabili, raramente macchinose. Ma alcune lacune, e alcuni momenti di vuoto all’interno del film, rendono il risultato finale molto, ma molto deludente.

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