Sui social, che sono ormai divenuti un luogo cruciale dove tastare il polso dell’umore degli appassionati sportivi, negli ultimi anni Doc Rivers, head coach dei Philadelphia 76ers sembrava avere raggiunto la soglia critica di critica. Trattato come un Mike Brown qualsiasi, ne venivano minimizzati i meriti con i Boston Celtics, derubricando il titolo 2008 e le Finals 2010 a unico merito dei giocatori.
Non essere andato oltre le semifinali di Conference allenando i Los Angeles Clippers era la prova, secondo i suoi franchi tiratori, che non era un coach di alto livello. Eppure basta guardare l’episodio del documentario Netflix “Parola di allenatore” incentrato su di lui per capire che si tratta di uno vero, uno di quelli che è meglio trovarli che perderli. Non può non esserlo uno che inizia ogni stagione dicendo “I’m Doc Rivers, and I’m human. And I’m gonna make mistakes”. Poi chiaro, c’è sempre un po’ di quella messinscena cinematografica, però… però resta uno buono davvero. Forse i Clippers non erano l’ambiente giusto per lui, o forse non saranno l’ambiente giusto per nessuno ancora per diverso tempo: questo ce lo potrà dire solo il futuro.
Ben Simmons suona la campana
Ciò che conta è, messo alle spalle il settennato lonsangelino, ora i Philadelphia 76ers affidati a lui stiano tenendo una velocità di crociera inusuale. Approdato sotto la Liberty Bell, Rivers ha stabilito gerarchie chiare, definendo un quintetto base a cui va aggiungersi un sesto uomo, Shake Milton, che da quando è arrivato ha sempre migliorato il proprio rendimento.
A illuminare l’azione c’è, ovviamente Ben Simmons. Veloce, coordinatissimo malgrado la stazza, con controllo di palla magistrale, pericoloso in ogni zona del campo, passatore sagace, questo brillante artista della pallacanestro che mena le danze dei Sixers è il giocatore del futuro già nel presente. Gli altri esterni titolari sono accanto a lui complementari tra loro e con lo stesso Simmons. Danny Green è nella media sia atleticamente che nel ball-handling, ma ha un tiro affidabile, una buona lettura delle spaziature e dei tempi di smarcamento, e questo gli consente di crearsi spesso tiri aperti. Seth Curry, viceversa, ha dalla sua una conclusione solida, fluida e veloce, sia da fermo che in movimento, e risulta un fattore anche in difesa grazie alla sua capacità di concentrazione.
Sotto le plance, una miscela interessante: la versatilità e il gioco spalle a canestro di Tobias Harris e il tiro in sospensione dalla media distanza di Joel Embiid, che con le sue lunghe leve può anche decidere di attaccare il canestro in velocità, divenendo difficilmente arrestabile. Una consonanza che, pur se abbastanza alla lontana, potrebbe riprodurre sotto la Liberty Bell le dinamiche della coppia Garnett-Perkins.
Rocky Joel
Certo, ci sono delle differenze notevoli rispetto ai Celtics di Rivers, visto che non è possibile riprodurre pedissequamente i giocatori, come fossero fatti con lo stampino. Per andare più nello specifico, i ruoli per esempio sono ribaltati: stavolta infatti il big man più mobile e con licenza di inventare è il 5, Embiid, mentre il riferimento nei pressi del tabellone è il 4, Harris. Nel complesso quello di Phila è un attacco che punta ad allargare le maglie avversarie per poter attaccare il ferro direttamente con le penetrazioni che, in caso di difese chiuse, portano a extra-pass o giro palla perimetrale il cui fine è trovare l’uomo per un tiro aperto. Da questi schemi non è affatto escluso Embiid, i cui isolamenti nella terra di mezzo sono anzi fonte di preoccupazione per la difesa avversaria, che così deve lasciare tre sul lato per eventuale servizio fuori, mentre Harris dal post alto taglia sotto per l’eventuale rimbalzo.
I giochi alto-basso sono un’altra opzione per mettere in ritmo il centro nei pressi del tabellone, ma possono risultare un’arma anche per isolare Simmons o Harris. Il giocatore australiano è letale anche nei giochi in transizione, che portano a una personale o il primo rimorchio, di solito Green. In alternativa, vista la stazza, può portare palla, passare a Curry e giocare un pick and roll con quest’ultimo rollando verso canestro. In questo quadro va poi tenuto in considerazione Shake Milton, che è uomo di rottura, con le sue guizzanti scorribande in area crea per sé oppure offre occasioni ai compagni lasciati liberi.
Philadelphia 76ers, nuove ambizioni
Questi set hanno reso i Philadelphia 76ers il decimo attacco (113.9), un risultato rilevante, specie se combinato con l’essere anche sesta difesa (108.2). La retroguardia non brilla per alchimie tattiche particolari, ma è solida: sovraccarica il lato della palla, punta sul contenimento individuale del proprio assegnamento, sull’incursione avversaria chiude gli spazi con quattro uomini, sul pick and roll laterale passa sopra e su quello centrale cambia.
Grazie a questo mix di solidità e talento, i Sixers sono arrivati dove, in tempi recenti, non erano ancora riusciti a sospingersi malgrado il talento accumulato. Pare ancora presto per poter essere sicuri di competere per il titolo, ma certamente l’arrivo di un coach come Rivers ha innervato nuove energie in un gruppo che nel medio periodo può rientrare nel discorso sulla lotta per l’anello.