Home NBA, National Basketball AssociationNBA Passion App ‘Swee Pea’ – Vita, morte e resurrezione di Lloyd Daniels

‘Swee Pea’ – Vita, morte e resurrezione di Lloyd Daniels

di Stefano Belli
La locandina del docu-film 'The Legend Of Swee' Pea', diretto da Benjamin May

La locandina del docu-film ‘The Legend Of Swee’ Pea’, diretto da Benjamin May

Se Lloyd Daniels fosse arrivato nella NBA dei giorni nostri, in un’epoca dominata dai social media, la sua storia sarebbe già da tempo sulla bocca di tutti. La sua incredibile parabola avrebbe tutti gli ingredienti per finire su tutte le copertine ed alimentare infiniti dibattiti: un giocatore di basket dallo straordinario e chiacchierato talento che, proprio quando sembrava destinato ad essere divorato dai suoi demoni personali, riesce a trovare la strada per il successo.
Questa particolarissima vicenda, invece, andò in scena a cavallo tra gli Anni ’80 e ’90, quando molte informazioni non erano accessibili a tutti. Tra coloro che ne sono rimasti più affascinati ci sono John Valenti e Ron Naclerio, autori del libro Swee’ Pea – The story of Lloyd Daniels and other playground basketball legends. A portare per la prima volta questa storia su uno schermo, però, ci ha pensato Benjamin May, che venerdì 17 marzo ha presentato in anteprima europea il docu-film The Legend Of Swee’ Pea.

Il nome di Daniels circolava tra gli addetti ai lavori già dai primi Anni ’80, quando ‘Swee’ Pea’ (soprannominato così per la somiglianza con Pisellino, il figlioccio di Braccio Di Ferro) iniziò a ‘farsi una reputazione’ sui playground newyorchesi. Come molti altri fra i mitici streetballer che hanno popolato la Big Apple nel corso dei decenni, anche Lloyd arrivava da una situazione alquanto disagiata. Orfano di madre fin dalla tenera età e con un padre alcolista fuggito subito dopo, il ragazzo preferiva di gran lunga i campetti cittadini (soprattutto quelli tra Brookyln e il Queens, i luoghi della sua infanzia) ai banchi di scuola. Quelli che oggi verrebbero classificati come “disturbi dell’apprendimento”, uniti ad un’inesistente propensione allo studio, lasciarono Daniels giusto un gradino più in alto rispetto alla soglia dell’analfabetismo. Il talento sul campo, però, era sconfinato, tanto da spingere i (mai prudenti) testimoni locali a definirlo “il miglior giocatore mai visto nel Queens dai tempi di Lew Alcindor.

Un prospetto del genere doveva essere ‘coltivato’ da qualcuno, se non altro per puri interessi personali (lo stesso Daniels, nel documentario, dice: “Ad un certo punto mi resi conto che molti di quelli che avevo intorno non erano tanto interessati a me, quanto invece a come potermi usare per fare soldi”), per cui Lloyd fu spedito in vari licei della zona per cercare di ‘incanalarlo’ sulla retta via. I risultati furono tanto buoni sul campo, quanto negativi a livello didattico. ‘Swee Pea’, che spesso e volentieri risultava assente a scuola e presente al playground (dove spesso si recava anche di notte), non riuscì mai a diplomarsi. In compenso, con la palla a spicchi ci sapeva fare, eccome. Entrò a far parte dei New York Gauchos, frutto di un programma educativo atto a dare una chance, tramite lo sport, ai ragazzi delle zone più degradate (da questa squadra sono passati, negli anni, giocatori come Chris Mullin, Stephon Marbury e Kemba Walker). Durante uno dei loro vari tour itineranti, Daniels e i suoi Gauchos fecero tappa a Las Vegas, dove giocarono sotto gli occhi attenti di Jerry Tarkanian, leggendario allenatore di UNLV (University of Nevada, Las Vegas).

Lloyd Daniels abbraccia Jerry Tarkanian, leggendario coach di UNLV

Lloyd Daniels abbraccia Jerry Tarkanian, leggendario coach di UNLV

Arrivato nella ‘Sin City’ negli Anni ’70, ‘Tark The Shark’ era diventato un’autentica istituzione, trasformando i Runnin’ Rebels in ospiti fissi del torneo NCAA. Personaggio estremamente anticonvenzionale (arrivò persino a fare causa alla NCAA per una serie di sanzioni contro di lui ritenute ingiuste), lo Squalo divenne celebre soprattutto per il reclutamento di molti giocatori dai cosiddetti ‘junior college’, una sorta di ‘centri di recupero anni’ per gli studenti meno abili.

Un coach ed una squadra del genere sembravano il contesto perfetto per Lloyd Daniels, che fu messo da Tarkanian (rimasto affascinato dalle qualità di realizzatore e passatore del ragazzo) sotto la tutela legale di un suo assistente (Mark Warkentien) e iscritto ad un junior college californiano, affinché raggiungesse i crediti necessari per poter giocare a UNLV.
Sulle strade di New York, però, ‘Swee’ Pea’ non aveva conosciuto solo la pallacanestro. In comune con Earl ‘The GOAT’ Manigault e tutte le altre anime dannate del basket cittadino, Lloyd aveva l’amica più pericolosa. Durante una serata ‘alternativa’ in una crack-house delle zone meno lussuose di Las Vegas, Daniels fu colto in flagrante da un agente in borghese. Il suo arresto, ripreso in diretta da una telecamera, suscitò un polverone (perdonate la beffarda espressione) mediatico con pochi precedenti. Tarkanian e UNLV, non proprio i beniamini della NCAA, non poterono fare altro che scaricare in fretta e furia il giovane. “Lloyd Daniels non giocherà per UNLV”, le parole del coach “gli troveremo al più presto una nuova sistemazione”.

L’incidente di Las Vegas fu soltanto l’inizio di una lunga serie di vicissitudini, tanto per il giocatore quanto per ‘Tark The Shark’. Le indagini sul caso fecero infatti emergere che Daniels era stato condotto a UNLV tramite Richard Perry, un losco figuro con diversi precedenti legati alle scommesse clandestine che, a quanto pare, gravitava stabilmente intorno alla squadra. Pochi mesi dopo il leggendario titolo NCAA conquistato nel 1990 con la squadra capitanata da ‘Grandmama’ Larry Johnson, Tarkanian fu costretto a dimettersi.
Nel frattempo ‘Swee’ Pea’ iniziava il suo personalissimo cammino sul viale dei sogni infranti. Compromessa la pista che lo avrebbe (certamente) portato dal college alla NBA, cercò il riscatto nella Continental Basketball Association (CBA) con la maglia dei Sizzlers di Topeka, Kansas. Nonostante le ottime prestazioni, i suoi gravi problemi con alcol e droga convinsero la franchigia a liberarsi di lui. Emigrò dunque in Nuova Zelanda, ma anche a così tanti chilometri da casa non perse le care, vecchie abitudini. Dopo pochi mesi fu rispedito negli States.

Sembrerà incredibile, ma il peggio doveva ancora arrivare. Tornato nel Queens e riprese le solite, cattive compagnie, Lloyd fece uno sgarbo a due spacciatori del quartiere, i quali reagirono sparandogli quattro colpi di pistola al petto. Daniels arrivò all’ospedale in condizioni disperate (“era più morto che vivo” dicono i medici nel documentario), ma riuscì miracolosamente a sopravvivere. Durante la degenza gli venne recapitato un pallone da basket, su cui era apposta una dedica: “Get well soon. Michael Jordan”.
Con uno dei quattro proiettili ancora incastrato in una spalla, Lloyd riuscì incredibilmente a tornare in campo. Ripartì dalle minors americane (CBA, USBL e GBA), dove mostrò a tutti che il suo enorme talento non poteva essere cancellato nemmeno dalle pallottole. Da lì a scommettere di nuovo su di lui, però, ce ne passava; solo un pazzo gli avrebbe concesso una seconda opportunità. Quel pazzo, manco a dirlo, fu di nuovo lui, il grande coach Tark.

Daniels, con la maglia dei San Antonio Spurs, affronta Jeff Hornacek degli Utah Jazz

Daniels, con la maglia dei San Antonio Spurs, affronta Jeff Hornacek degli Utah Jazz

Dopo la burrascosa interruzione della sua inimitabile carriera a UNLV, lo Squalo fu ingaggiato come capo allenatore dai San Antonio Spurs. ancora decisamente lontani dall’era Popovich-Duncan. A cinque anni di distanza dallo scandalo di Las Vegas, Daniels e Tarkanian diedero finalmente vita al loro sodalizio, nientemeno che sul palcoscenico più importante (ed improbabile) di tutti: la NBA.
‘Swee’ Pea’ fu inserito nel roster degli Spurs per la Summer League e, viste le ottime prestazioni, fu confermato per la regular season 1992/93. Dopo un’intera giovinezza passata tra i playground, il carcere e l’ospedale, Lloyd si trovò fianco a fianco con giocatori del calibro di David Robinson, Dennis Rodman ed Avery Johnson. Ce l’aveva fatta.

L’esperienza texana di Jerry Tarkanian, però, non durò moltissimo. La sua tendenza alla ribellione e le discordanze con la dirigenza ne causarono l’allontanamento dopo sole venti partite. Con l’addio di Tark, Daniels perse un fondamentale punto di riferimento, quel ‘padre putativo’ che gli aveva permesso di realizzare il suo grande sogno.
Sebbene i due avessero lavorato insieme, di fatto, per pochissimi mesi, tra loro si creò un legame indissolubile. A dimostrazione di ciò l’incontro, anni dopo, tra maestro ed allievo nella casa di coach Tark; probabilmente il momento più emozionante del docu-film di Benjamin May.

Il rapporto con il nuovo allenatore John Lucas (il cui figlio diverrà celebre, una ventina di anni più tardi, per essere stato letteralmente sorvolato da LeBron James) non sbocciò mai. Lucas vedeva Lloyd come “quello venuto dal ghetto per comandare” e gli concesse sempre meno spazio nelle rotazioni. Nonostante un buon impatto (9.1 punti di media nella stagione da rookie, 5.7 in quella successiva), il contratto di Daniels non fu rinnovato dagli Spurs.
Per ‘Swee’Pea’ iniziò una nuova fase di ‘vagabondaggio’, stavolta nel dorato mondo della NBA. Passò la stagione 1994/95 diviso tra le ‘nobili decadute’ Philadelphia 76ers e Los Angeles Lakers. In gialloviola indossò una maglia, la numero 24, destinata a diventare leggenda sulle spalle di qualcun altro…

'Swee' Pea' con la maglia numero 24 dei Los Angeles Lakers

‘Swee’ Pea’ con la maglia numero 24 dei Los Angeles Lakers

L’estate seguente, ‘Swee’Pea’ sbarcò in Italia, più precisamente a Pesaro. Una eccellente stagione con la maglia della Scavolini (chiusa a 21.9 punti di media) gli fece guadagnare la richiamata ‘in The League’. Giocò 5 incontri con i Sacramento Kings, poi altri 17 con i New Jersey Nets, infine riprese il suo ramingo girovagare tra D-League, Porto Rico e Turchia (fece 12 apparizioni con il Galatasaray). Dopo un ultimo assaggio di NBA, stavolta ai Toronto Raptors, e altri viaggi oltreoceano (si fece vedere anche ad Atene, in maglia AEK, e a Scafati, in Legadue), Daniels si arrese a Padre Tempo. Si ritirò ufficialmente nel 2005, quando decise di dedicare all’insegnamento della pallacanestro ai giovani newyorchesi la seconda (o meglio; la terza, quarta, quinta…) parte di una vita decisamente fuori dal comune.

In occasione della presentazione milanese di The Legend Of Swee’ Pea, introdotta da Federico Buffa e Mauro Bevacqua al Santeria Social Club, abbiamo posto alcune domande al regista, Benjamin May (al quale va un grande ringraziamento per la collaborazione).

Le strade di New York, nel corso dei decenni, hanno visto innumerevoli ‘leggende del playground’ perdere la retta via, divorate dai propri demoni personali. Come mai, fra le tante, ha scelto di concentrarsi sulla storia di Lloyd Daniels?
“La storia di ‘Swee’ Pea’ è unica, perché lui, a differenza di molti altri, è riuscito ad arrivare nella NBA nonostante le incredibili difficoltà. Lloyd rappresentava l’archetipo della ‘leggenda del playground’. Possedeva sia un innato carisma, che una ‘mistica’ comprensione per il gioco. Ha raggiunto il punto più basso immaginabile ed è quasi morto, per poi ‘resuscitare’ ed arrivare a competere sul palcoscenico più importante al mondo. La sua è una vicenda  tragica e, allo stesso tempo, gloriosa.”

Come ha accolto Lloyd questo progetto, e in che modo è stato coinvolto nella sua realizzazione?
“Lloyd ha capito che intendevamo realizzare un film incentrato non solo sulla sua storia cestistica, ma anche su di lui come persona. L’ importante era essere onesti, mostrando sia il lato buono che quello negativo della sua personalità. Il film lo ha emozionato molto, ha mostrato apprezzamento e rispetto per il risultato finale” 

Avete dovuto girare alcune scene in zone piuttosto pericolose…
“E’ vero. Che alcune zone periferiche di New York fossero degradate è risaputo; forse invece in pochi immaginano Las Vegas come un posto pericoloso. Poco lontano dalle luci dei casinò, invece, ci sono situazioni sociali davvero ai limiti. In ogni caso, Lloyd si sentiva come a casa in questi luoghi, per cui girare con lui ci ha fatto sentire sicuri.”

Come ha vissuto, in prima persona, il profondo rapporto tra Daniels e il suo vecchio coach Jerry Tarkanian?
“Lloyd e Tark si volevano molto bene. La loro reunion è stato il momento più toccante in assoluto. Aver avuto un ruolo nel farli incontrare di nuovo ha significato moltissimo per me.”

Quando ‘Swee’ Pea’ è finalmente arrivato nella NBA, in molti (tra cui i compagni David Robinson e Avery Johnson, che ne parlano nel film) lo hanno accolto positivamente. Altri, come coach John Lucas, lo consideravano invece “il tizio arrivato dal ghetto per dettare legge”. Come ha reagito il resto del mondo NBA al suo arrivo tra i professionisti?
“Lloyd era una figura leggendaria agli occhi di tutti, compresi molti giocatori NBA. Credo che ci fosse una genuina curiosità di vederlo giocare, e che la maggior parte di loro considerasse legittimo il fatto che lui fosse arrivato fin lì. All’epoca, era l’unico giocatore non straniero ad essere arrivato nella NBA senza passare dal college. Credo che la gente si aspettasse di trovarsi di fronte un delinquente, un duro, per poi rimanere piacevolmente stupita dal suo carattere allegro, affettuoso, intelligente e del tutto singolare.”

Questo progetto ha visto anche la partecipazione di Carmelo Anthony. In che modo ha contribuito?
“Carmelo è uno dei produttori esecutivi. Ha generosamente investito su questo progetto nel momento in cui cercavamo gli ultimi fondi necessari per portarlo a compimento. Lui arriva dalle zone popolari di Brooklyn, ed è estremamente entusiasta di poterci dare una mano nella più ampia promozione possibile di questo film.”

The Legend Of Swee’ Pea è ora disponibile anche nella versione con sottotitoli in italiano. Potete trovarla a questo link:

 

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