Il pensierino elementare con cui il povero Anthony Edwards ha liquidato, pochi giorni fa, le “vecchie generazioni” del basket NBA colpevoli solo di essere più vecchie, non è piaciuta a nessuno, neppure a chi apprezza il candore un po’ (troppo) naif della star dei Twolves ma sa riconoscere una sciocchezza quando la sente o la legge.
Senza fermarsi troppo a analizzare, e per sua stessa ammissione senza aver mai davvero guardato, Ant Edwards aveva detto che “una volta di giocatori bravi (skilled, ndr) non ce n’erano, a parte Michael Jordan“. E anche dopo, una volta arrivato Kobe Bryant, tal bravura si è trasferita dal numero 23 dei Bulls all’allora numero 8 dei Lakers per osmosi. Tutti gli altri, dei dopolavoristi al meglio.
Una sparata che dice più del suo autore che altro. E che dopo le sgridate di vecchiacci come Isiah Thomas e Magic Johnson ha rimediato anche le critiche di Paul George. Uno di quelli “bravi” di oggi e quindi al di sopra di ogni sospetto: “Penso che sia stata una cosa davvero immatura da dire. Anthony Edwards è un grande giocatore e un super talento ma per quanto il Gioco sia cresciuto negli ultimi anni, la realtà è che bisogna rispettare ciò che quelli prima di te hanno saputo fare“, ha detto George durante una puntata recente del suo podcast.
La realtà è che Edwards, col suo commento invero anche ridicolo, ha infranto una regola non scritta ma importante nei circoli NBA. Ovvero quella di celebrare i grandi del passato e mostrare rispetto per loro, riconoscere di essere per definizione “dei nani sulle spalle di giganti” e pronti a diventare a propria volta proseguitori della legacy, del lascito di un movimento.