Arrivi alla fine di Draft Day e pensi: “Sono sicuro di avere appena visto un decimo del sottobosco che si muove quando si arriva nel giorni delle scelte dei liceali”.
E forse un decimo è già stare stretti
Epica a stelle e strisce
Lo raccontava Federico Buffa in uno dei suoi interventi, che gli statunitensi non avendo una storia antica alle spalle, e mancando di fatto un’epopea storica, facilmente si riconoscono e amano le storie dei grandi sportivi.
Per questo al cinema non è raro vedere narrazioni legate alle prestazioni agonistiche, e per questo anche un topic come il Draft NFL risulta interessante.
O meglio: tutte le dinamiche che portano al Draft, ivi incluse le tensioni tra le diverse parti in gioco.
Dal nostro angolo italiano fatto di mecenatismo magari è difficile coglierlo a pieno (anche per una certa grossolanità nell’analisi), ma bisogna pur sempre ricordare che le squadre pro sono aziende.
Aziende che riempiono stadi, che vanno in campo e vincono o perdono, ma pur sempre aziende, con un cda e azionisti a cui rispondere.
Draft Day è meravigliosamente efficace nel mostrare le componenti in causa e i differenti rapporti di forza: c’è la proprietà, il coaching staff, i tifosi, i media, ognuno con un’idea precisa sul da farsi, o più, nei casi di “senno di poi”.
Balla coi film
Film sul football ne abbiamo visti, e alcuni sono rimasti nella memoria collettiva degli appassionati di sport o di cinema (o entrambi).
Abbiamo sorriso con Le riserve e L’altra sporca ultima meta ci siamo esaltati con Ogni maledetta domenica, abbiamo avuto il cuore stretto con Friday night lights.
Draft Day invece ci ha lasciato una sensazione diversa: il filo del rasoio vissuto dalla scrivania e non sul campo, la strategia importante quanto l’agonismo.
Un cast eccezionale per un film eccezionale. Nel senso più pieno del termine.