Home NBA, National Basketball AssociationApprofondimenti La caduta dei giganti: le difficoltà dei San Antonio Spurs

La caduta dei giganti: le difficoltà dei San Antonio Spurs

di Carlo Bommarito
San Antonio Spurs

Quali sono i fattori del declino attuale dei San Antonio Spurs? Perché anche nel basket, quello dei giganti NBA, qualche ‘Golia’ può cadere. Talvolta anche imprevedibilmente, vedasi il caso dei rimaneggiati Golden State Warriors di quest’anno. Talvolta perché forse dopo anni, anzi decenni di dominio, è logico per un team arrivare ad una situazione che, complice il fisiologico ricambio generazionale, prevede un certo livello di mentalità per mantenere gli stessi, altissimi, standard.

Il caso dei San Antonio Spurs risulta attualmente essere di difficile lettura. La squadra che oggi calca il parquet dell’AT&T Center è ormai lontana parente degli speroni nero-argento che per anni, con il trio delle meraviglie Parker-Ginobili-Duncan, ha fatto sognare due generazioni di fan della franchigia texana, e impresso ripetutamente il loro nome sugli stendardi appesi nell’arena di casa.

San Antonio Spurs: la situazione

Nel momento in cui scriviamo, San Antonio occupa il dodicesimo spot nella Western Conference con ben 16 sconfitte su 26 partite, anche se ultimamente si è registrata una leggerissima ripresa. Per intenderci, ha un record un pelo superiore ai Bulls e ai Grizzlies (nel loro anno zero) ed al contempo inferiore ai deludenti Pistons e agli Hornets. E se fino ad appena un anno fa si parlava di un sistema inossidabile, di una dinastia senza fine, ad oggi siamo esattamente sulla faccia opposta della medaglia. Il team, condotto magistralmente da coach Gregg Popovich dal lontano 1996, al momento non sembra esser realmente competitivo contro le corazzate e, anzi, risulta assai morbido anche con i team medio-piccoli.

E anche se contro quella vecchia volpe che risponde all’appellativo di coach Popovich non si dovrebbe mai scommettere, dopo 22 apparizioni consecutive ai playoffs (praticamente da quando si è insediato sulla panca della franchigia texana) San Antonio rischia di dover guardare per la prima volta la post-season dal divano di casa.

La stagione di DeMar DeRozan

Da quando nel 18 luglio 2018 si è consumata la trade, rivelatasi poi decisiva ai fini del titolo della scorsa stagione, che portò l’ex Spurs Kawhi Leonard a Toronto, l’approdo di un giocatore del calibro di DeMar DeRozan alla corte di coach Popovich aveva già disegnato degli scenari rosei, nell’ottica di una ricostruzione immediata che vedeva l’ala-guardia proveniente dal Canada e LaMarcus Aldridge, appena arrivato da Portland, come le due colonne portanti.

In questo anno e mezzo però il gioco di DeRozan risulta essere decisamente involuto. E non lo si nota dalle semplici e mere medie realizzative (7 punti di media in meno dall’anno 2016/17, migliore stagione in maglia Raptors), ma soprattutto riguardo al modo in cui questi punti arrivano. Pur non essendo mai stato un cecchino dalla lunga distanza, DeRozan infatti risulta aver mandato a segno solamente 5 triple su soli 16 tentativi (meno di un tiro da tre punti tentato a partita), statistica che si è impennata tra l’altro nel match contro i Kings dello scorso 6 dicembre, dove ha tirato ben cinque volte da tre.

E sebbene non manchino le bocche da fuoco dalla lunga distanza anche tra i partenti dalla panchina, per il suo gioco risulta essere un passo indietro.

 

Una delle giocate preferite di DeRozan: il jumper dalla media distanza.

Si potrebbe pensare che DeRozan prediliga l’attacco del ferro in penetrazione (e in effetti un tiro su due arriva a meno di tre metri dal canestro), ma in questo caso crollano anche i numeri riguardanti i liberi tentati, finora meno di 6 a partita. In realtà DeRozan risulta autolimitarsi molto (troppo?) spesso al tiro dalla media distanza, dal palleggio o spalle a canestro, e pur avendo comunque ottime percentuali in questo fondamentale, ciò risulta rendere il suo gioco troppo monotematico e a tratti prevedibile, il che non si spiega considerando i mezzi atletici di cui dispone il 30enne scuola Compton.

Le prestazioni di LaMarcus Aldridge

L’altra colonna portante, Aldridge, risulta a sua volta essere un giocatore talmente completo quanto imprevedibile, in accezione negativa. Lui che paradossalmente tira dal perimetro quasi il triplo rispetto a DeRozan, ma che è stato capace di mettere 58 punti senza nemmeno pensare di tirare coi piedi dietro l’arco (cosa che rende ormai un lungo del genere atipico e fuori dal tempo).

Un altro degli aspetti negativi dell’inizio stagionale della squadra texana è infatti l’incostanza dell’ex Blazers, capace di totalizzare 8 punti una sera, 39 quattro sere dopo e successivamente 3 miseri punti.

LaMarcus Aldridge, lungo dei San Antonio Spurs

 

Il bagaglio tecnico in possesso di LaMarcus è fuori ogni discussione, ma evidentemente dietro questi semplici numeri risulta una tendenza di difficile analisi: talvolta risulta essere il più coinvolto e positivo del team, talvolta risulta essere esattamente l’opposto, oscurato dalla difesa avversaria o totalmente avulso dal gioco, sebbene i minuti risultino essere praticamente gli stessi.

Il supporting cast

In ultima analisi, la gestione del supporting cast diventa quasi un freno per il team nero-argento. Molto è dovuto ad un minutaggio limitato nel reparto piccoli, che sono tanti e tutti con le proprie caratteristiche: infatti a parte i due di cui si è parlato sopra, nessuno supera i 25-26 minuti a partita. Ciò può significare due cose, manutenzione (e quindi pianificazione) o confusione.

Sicuramente l’infortunio che ha tenuto fuori tutta la stagione il 23enne Dejounte Murray lo scorso anno pesa molto sulle rotazioni, perché la vivacità e l’esplosività (non ancora del tutto espresse finora) dell’ex Washington Huskies vanno preservate nell’ottica di una stagione lunga e pesante. Ma la sensazione è che Popovich quest’anno non sia ancora riuscito a trovare la quadra, il bandolo della matassa, una rotazione competitiva che gli dia più garanzie rispetto ad un’altra.

A Murray va riconosciuta senza dubbio l’abilità di mettere in ritmo i compagni.

Come proseguire la stagione?

In realtà la situazione a livello di classifica non è così negativa. In una Western Conference decisamente meno competitiva (era da parecchio tempo che a dicembre il settimo spot non era occupato da una squadra con record perdente, in questo caso dai Thunder) rispetto al recente passato, gli Spurs sono lontani appena 1.5 gare dall’ottavo posto, quindi tutto è ancora possibile in ottica playoffs.

Ma c’è decisamente bisogno di un’inversione di tendenza, per trasformate questi fattori del declino Spurs nei punti da cui risalire la china. Inversione che potrebbe arrivare dal mercato trade. Mancano meno di due mesi alla trade deadline, ma già da qualche settimana il general manager Brian Wright e tutto il front-office della squadra texana stanno vagliando varie opportunità, che prevedono sia cessioni eccellenti come quella dello DeRozan (accostato agli stessi Raptors, squadra nel quale verrebbe riaccolto a braccia aperte) che obiettivi mirati, ultimo nome quello di Aaron Gordon degli Orlando Magic, tornato da poco disponibile dopo un problema alla caviglia destra.

Resta ciò che abbiamo detto ad inizio articolo. È vero, i giganti cadono, ma Popovich ne sa sempre una più del diavolo: mai sottovalutarlo!

NB: le statistiche utilizzate nell’articolo fanno fede alla data di pubblicazione dello stesso.

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