“A quei negri serve un negro“, è una delle tante frasi attribuite a Robert Sarver, proprietario dal 2004 dei Phoenix Suns e oggi nella bufera dopo un lungo report pubblicato su ESPN, che si avvale di testimonianze “di oltre 70” tra ex dipendenti, giocatori e membri dello staff tecnico della squadra, per descrivere i quasi 20 anni di gestione della franchigia, tra gaffe, frasi razziste e sessiste, sconfitte e un ambiente di lavoro definito “tossico“.
Tra le accuse più gravi mosse a Sarver nell’articolo, che si avvale oltre che delle tante testimonianze anonime anche di quella di Earl Watson, ex allenatore della squadra, è la leggerezza e disinvoltura del proprietario dei Suns nell’usare espressioni razziste quali nigga, la “famosa” N-word usata in modo dispregiativo verso i neri americani, soprattutto se in bocca a un uomo bianco, e per di più miliardario.
Nell’articolo a firma di Baxter Holmes, vengono citati almeno tre episodi che ben rappresenterebbero il metodo con cui Robert Sarver abbia guidato la squadra negli anni, dalle “curiose” motivazioni dettate dall’affinità del colore della pelle, e citate all’inizio, per la scelta del nuovo capo allenatore nel 2013, quando in ballottaggio c’erano Lindsey Hunter, nero, e Dan Majerle, bianco, fino alla richiesta inoltrata a coach Watson nel 2017, di “rompere ogni rapporto” con Rich Paul e Klutch Sports, che ne curavano gli interessi, dopo un diverbio tra Sarver e Paul sul rinnovo di contratto di Eric Bledsoe.
Secondo Watson, in quell’occasione un Sarver adirato avrebbe minacciato di licenziare il coach, se questi non avesse lasciato la Klutch: “Mi diede 10 giorni di tempo per decidere. Alla mia risposta sulle implicazioni di un proprietario bianco di una squadra, che chiede al suo allenatore, un nero, di licenziare il suo agente, nero anch’egli, Sarver rispose: ‘Si, so che razza siete voialtri. Ti sto chiedendo quanti tieni davvero al tuo lavoro?’“. Watson racconta di aver risposto a Robert Sarver “di fare ciò che voleva. La squadra è sua, ma la mia cultura non è in vendita“.
Robert Sarver ha negato tutte le accuse e le ricostruzioni riportate nell’articolo, negando spesso che tali conversazioni siano mai accadute, e respinto ogni espressione di stampo razzista e sessista a lui attribuite. La difesa di Sarver si concentra soprattutto sulle testimonianze di Earl Watson, allenatore dei Suns per una stagione nel 2016\17 e poi cacciato dopo 3 partite l’anno successivo, negando ancora. Secondo i legali di Sarver, la controversia tra i due aveva riguardato un “conflitto di interessi” con Klutch Sports, agenzia che curava al tempo stesso gli interessi sia di un giocatore – Bledsoe – che dell’allenatore della squadra. “Ma io ero rappresentato da Klutch e non da Rich Paul in persona, e il mio contratto ai Suns (nel 2016, ndr) fu negoziato da Klucth. Allora, il conflitto d’interessi non sussisteva, evidentemente (…) Sarver pensa che ogni suo dipendente sia di sua proprietà, vuole farsi pregare e implorare“.
Ancora Watson ricorda, nell’articolo, di come Sarver avesse respinto la sua idea di aggiungere “più diversità” e rappresentanza nello staff tecnico. “Mi disse che a lui la diversità non piaceva“, racconta Earl Watson. “Tutti sanno che qui in quanto a diversità andiamo di m***a“, aggiunge un attuale dipendente della franchigia, rimasto anonimo.
Altro report che Sarver, attraverso i suoi legali, ha negato con forza rimarcando “la lunga storia di valorizzazione della diversità razziale (…) Suns e Mercury (WNBA, ndr) hanno tre volte i dipendenti di colore rispetto alle proporzioni della popolazione nella Contea di Maricopa”, dove sorge Phoenix “6 degli ultimi 10 allenatori sono neri, compreso Monty Williams e il general manager James Jones. Scelti perché sono gli uomini migliori per il loro ruolo“.
Sarver ha poi replicato alle accuse di Earl Watson, di aver instaurato “un clima tossico” di lavoro durante la sua permanenza a Phoenix, rispedendo tutto al mittente. “Una delle ragioni dell’interruzione del rapporto di lavoro con Mr. Watson fu l’ambiente di lavoro tossico impostosi durante la sua gestione“, citando “conflitti” tra l’allenatore e il front office della squadra.
Suns, le accuse di sessismo a Robert Sarver: “Vuole essere in controllo”
Tra le accuse e le testimonianze più gravi, raccolte nel reportage di ESPN, ci sono quelle di sessismo rivolte a Robert Sarver. Secondo una ex dipendente della squadra, “Sarver ha ben poco rispetto per le donne, per lui contiamo poco, siamo una cosa di proprietà“. Tra gli episodi citati, quello in cui durante “i primi anni” della gestione dopo aver rilevato la squadra, Sarver avesse fatto girare durante una riunione, una fotografia in bikini della moglie, facendo diversi “apprezzamenti“, un atteggiamento definito “ricorrente” durante i meeting. Un ex dipendente racconta di un Sarver “solito a fare domande” ai giocatori sulle loro compagne e sulla loro vita sessuale.
In un altro episodio risalente al 2009, in occasione dell’All-Star Game giocato proprio a Phoenix, Sarver avrebbe chiesto a una sua dipendente incinta di “non proseguire col suo lavoro” di organizzazione dell’evento. Secondo due testimoni, la donna “sarebbe dovuta restare a casa, ad allattare suo figlio (…) un commento decisamente inappropriato“. Altre accuse che Robert Sarver ha negato, ricordando come la dipendente rimase al lavoro al suo posto.
Il ritratto che esce dal lungo report di ESPN, è quello di un Robert Sarver uomo facile alla battuta anche pesante, al limite (spesso oltre) dell’insinuazione e ben poco sensibile rispetto all’effetto esplosivo e dannoso che tali uscite possano provocare, soprattutto con battute che riguardino la sfera privata come gusti sessuali, abitudini e parità di genere e possibilità sul posto di lavoro. “Molte delle cose che dice, sono solo per generare un effetto. E chi può andare a dirgli che è sbagliato? A lui piace la minaccia come metodo, gli piace rendere chiaro alle persone chi comanda”, racconta un altro ex dipendente dei Suns “Lui vuole essere in controllo, di tutto e di tutti“.
“Paura di rappresaglie e molestie”, il racconto delle ex dipendenti
Particolarmente esplicativo dell’atteggiamento di Sarver è un episodio del 2014, raccontato dall’allora account executive dei Suns David Bodzin. Di fronte a circa 60 dipendenti riuniti per l’allora famosa “ice bucket challenge“, Sarver abbassò i pantaloni dell’allora 25enne Bodzin, nell’evidente tentativo di “divertire” i presenti con uno scherzo. “Ricordo che ne fui scioccato, all’epoca ero appena arrivato e senza una posizione, avrei rischiato di farmi terra bruciata attorno se avessi reagito“. Un episodio alla presenza di diversi testimoni, e che in questo caso Sarver non nega e di cui si scusa attraverso i suoi legali “Ero convinto si trattasse solo di uno scherzo, ma mi resi conto di quando inappropriato fosse“.
Nel suo report, ESPN cita “un concreto numero” di dipendenti che nel corso degli anni sarebbero state oggetto o testimoni di abusi verbali da parte di colleghi maschi, “commenti inappropriati” da parte di superiori e manager della squadra, le “solite” posizioni sessiste camuffate da “semplici battute” su abbigliamento richiesto alle riunioni, e un clima di prevaricazione e sessismo che avrebbe portato diverse dipendenti nel corso degli anni a dimettersi o a ricorrere a un supporto psicologico. Problemi spesso “ignorati” o sottostimati dalle Risorse Umane, considerato all’interno dell’organizzazione da varie testimonianze per lo più un “filo diretto” con Robert Sarver sui suoi dipendenti, la sua “polizia”. Secondo diversi testimoni, l’atteggiamento di Sarver avrebbe instaurato un clima diffuso di “complicità” nell’organizzazione e un alibi per mantenere la stessa condotta tenuta dal proprietario. Alcuni ex dipendenti hanno raccontato di non essersi mai rivolti al reparto Risorse Umane per riportare di problemi in azienda, per paura di “rappresaglie“.
“Basta con queste str****te”, così Jamal Crawford nel 2018
L’atteggiamento padronale di Sarver si sarebbe esteso anche alla gestione tecnica della squadra, che dal 2010 al 2020 non ha mai disputato i playoffs e cambiato 9 allenatori e 6 general manager, prima dell’arrivo di Chris Paul.
Nel più classico dei cliché sportivi del “presidente che fa la formazione”, alcuni ex membri dei vari staff tecnici tra cui Corliss Williamson, ex giocatore NBA e oggi assistant coach, raccontano di un Robert Sarver solito esigere “aggiustamenti” generici in campo, senza dimostrare grande conoscenza del gioco e degli aspetti tattici, e disegnare alla lavagna alla presenza dei giocatori degli improbabili schemi. “Cercava sempre di infilarsi nelle riunioni dei coach e inventare schemi, anche durante l’intervallo delle partite, dicendo a ognuno che cosa avrebbe dovuto fare“, racconta un altro ex assistente allenatore.
Due ex membri dello staff tecnico ricordano un episodio del 2018, tra Sarver e il rookie Elie Okobo alla presenza del veterano Jamal Crawford: “Sarver si mise a spiegare alla lavagna (…) Crawford lasciò allora la sala dicendo: ‘non posso più stare ad ascoltare certe ca**ate“.
Robert Sarver è spesso risultato in sondaggi annuali sui proprietari NBA in passato, tra quelli meno amati. Nel 2018, in conflitto con la città di Phoenix per i lavori di rinnovo dell’allora Talking Stick Resort Arena, Sarver aveva minacciato di trasferire la squadra se il municipio non si fosse accollato parte dei costi dei lavori. In difesa del proprietario della squadra si sono espressi l’attuale general manager James Jones e alcuni ex membri dello staff tecnico. Secondo Sarah Krahenbuhl, Executive director for Phoenix Suns charities and vice president of social responsibility, “Sarver non è un uomo facile con cui lavorare, ma ti spinge a dare il massimo per il bene superiore“. Per Lon Babby, presidente dei Suns dal 2010 al 2015, “Sarver è esigente e a volte un uomo difficile, ma posso assicurare di non aver mai assistito a episodi razzisti o di abusi e prevaricazione verso le donne“.
Per Steve Kerr, ex general manager della squadra dal 2007 al 2010 e per anni proprietario di minoranza dei Suns “non ho mai assistito a qualcosa che potesse suggerire del razzismo o della misoginia, le accuse mi hanno lasciato molto sorpreso, non è il Robert Sarver che conosco“.
“Per lui è una questione di potere“, dice un altro proprietario di minoranza della squadra, “non è certo un uomo stupido“. Per un altro ex membro dello staff tecnico, “Sarver è un grande uomo d’affari e gode di grande considerazione per questo. Per quanto riguarda il basket, in quel caso si è spesso comportato da vero pagliaccio. Ora, Sarver è un razzista e un misogino, ma non uno stupido. Eppure si è spesso comportato come tale per quanto riguarda il basket“.
La NBA ha dichiarato attraverso il suo portavoce Mike Bass, di aver affidato a uno studio legale, il Wachtell Lipton, una prima indagine conoscitiva a tutto tondo sulle accuse contenute nell’articolo di ESPN, prima di provvedere a qualsiasi azione.
Nel 2015, l’allora proprietario dei Los Angeles Clippers Donald Sterling fu cacciato dalla NBA e costretto a cedere la franchigia dopo uno scandalo riguardante frasi, atteggiamenti e politiche razziste e sessiste anche nella condotta della squadra.