Un anno dopo la tragica e prematura scomparsa di Kobe Bryant e sua figlia Gianna in un incidente che coinvolse altre sette persone, Reggio Emilia, la città dove il campione spese una parte della sua adolescenza, dedica loro un largo e una targa commemorativa.
“Questa città ha amato prima Joe e poi suo figlio Kobe Bryant, il ragazzo che una volta tornato in America ha sempre ricordato Reggio con affetto.” ha raccontato Emanuele Maccaferri ad ESPN.com, il consigliere della Fondazione Sport della città ha continuato “In questo giorno triste vogliamo ricordare quel bambino felice che ha lasciato meravigliosi ricordi a così tanti miei concittadini.”
“Una città è prima di tutto una comunità fatta di persone, valori, storie e ricordi.” ha commentato il sindaco Luca Vecchi “Kobe è cresciuto con noi, ha giocato e vissuto con noi e rimarrà per sempre uno di noi.”
Oltre all’intitolazione della piazza, il comune ha predisposto una targa commemorativa con le dicitura “Reggiani per sempre” oltre ad aver piantato una pianta di Ginkgo Biloba lungo il marciapiede comunemente usato per raggiungere il palazzetto della città.
Anche Nicolò Melli, ad oggi in forza ai New Orleans Pelicans, è cresciuto nella città di Reggio Emilia: “Abbiamo avuto lo stesso insegnante di educazione fisica perché frequentammo la stessa scuola media. Abbiamo cominciato le giovanili nella stessa squadra, con lo stesso allenatore. Sono aspetti che mi fanno sempre sorridere. Mi rendono un po’ più orgoglioso di come la mia carriera sia iniziata.”
Kobe Bryant a Reggio Emilia attraverso gli occhi dell’amico di infanzia
Infine, ESPN ha riportato le parole di Christopher Ward, che alla fine degli anni ’80 ha giocato al suo fianco nelle squadre giovanili di Reggio Emilia: “Il 90% del nostro tempo era votato al basket. O tiravamo in giardino, ci allenavamo, giocavamo ai videogiochi di basket o guardavamo cassette a riguardo, come ‘Come Fly With Me‘ di Michael Jordan, che scorreva alla televisione 24 ore al giorno.” Ward ha poi ricordato “I primi anni dopo essere tornato in America per lui sono stati duri, poiché era tutto così diverso. Praticamente non conosceva lo slang e non poteva essere uno dei ragazzi fighi americani. Era solo un nero europeo andato in America, e quelle lì erano prerogative necessarie se volevi giocare a basket negli anni ’90.”
L’amico di infanzia ha poi concluso: “So che ha vissuto in Italia per soli cinque o sei anni, ma quel periodo è stato molto importante per chi è diventato. Ciò che ha vissuto e imparato gli è stato molto utile nella cultura dell’approcciare i fatti della vita. Si tratta di una sensibilità che Kobe aveva in comune con pochissimi altri.”