A cura di Luigi Ercolani e Daniele Maggio
Dovunque sia in questo momento, Paul Brown si starà facendo due domande. La prima è perché al Super Bowl non ci è mai arrivata la squadra che porta il suo nome, i Browns, mentre c’è riuscita quella che lui ha creato ex-novo una volta lasciata (a malincuore) Cleveland, ovvero Cincinnati. La seconda è perché i suoi Bengals, ogni volta che staccano il biglietto per l’atto conclusivo della NFL, debbano sempre trovarsi a giocare contro una squadra californiana con set offensivi particolarmente creativi.
Fu così nel 1982 e nel 1989, quando per due volte gli arancio-neri si trovarono di fronte i 49ers guidati da Joe Montana in campo e Bill Walsh in sideline, che vinsero in entrambe le occasioni. Era la San Francisco del cosiddetto West Coast Offense, che in realtà era stato concepito proprio a Cincinnati da Walsh sotto Brown, e poi implementato in California, dove il primo si era trasferito quando il secondo non aveva voluto promuoverlo a capo allenatore al proprio ritiro.
Una storia interessante, che fa il paio con Zach Taylor, promosso da head coach di Cincinnati dopo diversi anni di praticantato, l’ultimo dei quali sotto Sean McVay, ovvero… l’avversario che nella notte del 14 febbraio si troverà ad affrontare nel Super Bowl contro i Rams a Inglewood, al SoFi Stadium. McVay, in questo senso, non è solo il nipote del manager che costruì i sopra citati Niners, ma è anche uno dei rami del coaching tree di Mike Shanahan che tanto sta avendo successo negli ultimi anni, basato su un attacco innovativo e dinamico. Questo si appresta ad essere dunque un Super Bowl significativo per gli intrecci di passato, presente e forse pure futuro. Il fatto che si giochi a San Valentino rende tutto ulteriormente più romantico.
Qui Bengals
“Stanley, lo sai vero che domani non giocherai? E che forse non giocherai più nella NFL, visto che non è la prima volta che ci caschi?”. Roberto Gotta, massimo esperto italiano di palla lunga un piede, nel suo ultimo libro Generazione Joe Montana racconta un episodio chiave del Super Bowl del 1989, episodio in cui coach Sam Wyche perse in un colpo solo il proprio running back Stanley Wilson e, molto probabilmente, l’opportunità di vincere un meritato Super Bowl.
Per la completa contestualizzazione è meglio rivolgersi direttamente al volume, una perla in un mondo editoriale nostrano orientato verso il già visto: qui, per evitare eccessiva verbosità, qui basti solo ricordare che lo stesso coach Wyche affermò che con Wilson a disposizione i suoi Bengals avrebbero potuto chiudere un paio di down in più, e da lì chissà. Ok, si starà chiedendo il lettore, ma perché partire proprio dagli anni Ottanta? È presto detto. Quello del 1989 è stato il secondo e ultimo Super Bowl giocato da Cincinnati, che all’epoca era allenata da un mago, in campo e fuori. Se Sam Wyche, infatti, lontano dal gridiron si dilettava nei panni di illusionista amatoriale, in campo aveva dato forma a un sistema i cui semi, pur delle modifiche (nel football nessuno tatticamente inventa nulla, semmai rielabora a seconda dei propri bisogni), è arrivato fino ai giorni nostri.
Il No-Huddle offense fu una strategia per cambiare il ritmo del gioco. L’obiettivo, secondo le parole dello stesso Wyche, era quello di accorciare, allungare e poi accorciare ancora i tempi dell’azione, utilizzando schemi già memorizzati per cogliere impreparati gli avversari. Un’idea che gli venne parlando con Hank Stram, ovvero un altro coach creativo che, alla guida dei Chiefs, nel Super Bowl I incocciò contro l’esecuzione impeccabile dei giochi predisposti da Vince Lombardi per i suoi Packers. Il colpo di genio gli fruttò una partecipazione al gran ballo, quella appunto del 1989, che però avrebbe potuto non avvenire a causa del commissioner Peter Rozelle, che prima della finale di conference contro i Bills si mise di traverso a causa di quel bizzarro attacco. Vinta 21-20, quella gara condusse i Bengals alla sfida contro i 49ers. Come andò a finire lo avete già letto in precedenza.
Non ci sono stati, invece, episodi particolarmente clamorosi nel cammino che ha portato Cincinnati a giocarsi questo Super Bowl. Un cammino che a dire il vero era cominciato l’anno scorso, quando Joe Burrow, da rookie, aveva fatto decisamente alzare qualche sopracciglio, pur infortunandosi a metà stagione. Quella da migliorare era la linea d’attacco, è stato fatto e questo ha garantito al giovane quarterback una mobilità di cui la squadra ha beneficiato. Accanto a lui, dalla stessa alma mater Louisiana State, dal draft è arrivato Ja’Marr Chase, che rispetto ad un inizio di stagione che aveva lasciato parecchio perplessi è salito di colpi, tanto da battere il record di yard ricevute per un rookie (279). Con l’ulteriore apporto del running back Joe Mixon, degli altri ricevitori Tyler Boyd e Tee Higgins, e del tight end C.J. Uzomah, l’attacco della franchigia dell’Ohio ha saputo bilanciare bene i lanci e le corse risultando un avversario ostico per qualunque difesa, come hanno potuto sperimentare i Chiefs.
Come accennato, il miglioramento della offensive line è stato determinante, perché ha permesso di contenere la pass rush dei dirimpettai di Tennessee e di aprire un varco cruciale per il touchdown di Perine che ha dato il via alla riscossa contro Kansas City. La fortuna-bravura di coach Zach Taylor, in effetti, è stata proprio quella di trovare qualcosa da ogni uomo nei momenti chiave, incluso, nella medesima partita, un Evan McPherson da quattro field goal. Non va tuttavia sottovalutato l’apporto della difesa. Se il settore offensivo è chiaramente quello più appariscente, è tuttavia in retroguardia che i Bengals hanno saputo registrarsi e mettere la museruola a Raiders e Titans, limitate rispettivamente a 16 e 19 punti. Nella proverbiale classe operaia, quella che ha mandato in Paradiso la propria squadra, si distingue su tutti Logan Wilson, linebacker ottimo nel fondamentale del tackle e peculiarmente ispirato anche negli intercetti.
Basterà questo credibile mix per mettere in difficoltà i Rams? Il dubbio è lecito, perché quella californiana è una squadra costruita per vincere. Ma la fortuna ha già sorriso diverse volte ai Bengals in questa post-season, come dimostrato dall’errore di Barber dei Raiders nel Wild Card Game, dall’intercetto di Tannehill dei Titans o dal mancato field goal per lanciare Hill scelto dai Chiefs.
Potremmo quasi chiamarlo fattore C. Come Cincinnati, eh.
Qui Rams
Più che giocare d’azzardo, i Los Angeles Rams hanno preso le loro fiches e si sono avventurati nel più classico degli all-in, ben sapendo di avere buone possibilità di portare a casa l’intero malloppo. Tutto è iniziato con l’arrivo del quarterback Matthew Stafford, la guida sapiente ed esperta che ci voleva per ravvivare l’attacco, in cambio di un Jared Goff che non è riuscito ad imporsi e una bel pacchetto di scelte al draft; a seguire le mosse che hanno portato lo specialista difensivo Von Miller (uno che sa cosa cosa significa vincere, tra l’altro anche da MVP come urge ricordare sul Super Bowl 50) e il ricevitore Odell Beckham Jr. Insomma, i losangelini si sono giocati qualche asset futuro per trionfare nel presente, e l’ultimo atto rappresenta anche la voglia di rivalsa per il Super Bowl LIII perso contro i New England Patriots: in quella contesa l’attacco si inceppò, denotando forse l’assenza di quel pizzico di maturità che mancava ad una squadra in crescita. Ma adesso le cose sono cambiate.
E allora si va, sapendo che (forse) è ‘un ‘ora o mai più’.
Ora cerchiamo di analizzare quali possono essere le carte vincenti per il Super Bowl LVI. La prima è sicuramente la difesa, schierata con un assetto 3-4 e caratterizzata da un atteggiamento aggressivo e votato nel mettere costante pressione al QB avversario, grazie alla propria fisicità e intraprendenza nei blitz: qui sarà fondamentale il tandem Donald-Miller, col compito di spaccare la offensive line dei Bengals e non lasciare respiro a Burrow. In generale nella zona centrale del campo i Rams sono ben coperti, nel vero senso della parola, e lo dicono i numeri: 18.3 punti subiti a partita, 220.7 passing yard e solo 54 rushing yard concesse a gara. Sfondare lì in mezzo per Cincinnati non sarà affatto semplice. E non bisogna scordarsi del cornerback Jalen Ramsey, straripante guardiano sempre pronto a seguire come un’ombra i ricevitori avversari, quando il pallone galleggerà dalle sue parti.
E poi c’è l’attacco. La formazione preferita di McVay è senza dubbio quella con tre ricevitori in campo, atta a sfruttare le tracce profonde di Stafford grazie al quale si può operare più sul downfield. Rispetto a quando le redini del gioco erano in mano a Goff, i Rams hanno diminuito l’utilizzo delle play-action: un gioco più esplosivo e sbarazzino, decisamente più votato ai big play. Un attacco verticale, aggressivo, che vede come principali target Cooper Kupp (4 touchdown e 386 yard in questa post-season) e il già citato Beckham Jr., firmatario di 5 mete. Riguardo Stafford, il suo rendimento nei playoffs è soltanto inferiore a quello d Patrick Mahomes e Josh Allen, non certo gli ultimi arrivati: 301 yard a partita, 72 passaggi completi e 6 touchdown; per lui sarà la prima esibizione in assoluto al grande ballo e, nonostante le poche e non entusiasmanti esperienze da playoffs ai Detroit Lions, ha mostrato di avere il sangue freddo e la mentalità da leader. Quello che serve ai Rams, in fondo.
Il fattore imprevedibilità, puntualizziamo, sarà fondamentale per le ambizioni dei californiani, detta semplicemente.
Super Bowl LVI preview, che partita dobbiamo aspettarci?
“Quando hai fiducia puoi divertirti molto. E quando ti diverti, puoi ottenere le cose più incredibili” diceva Joe Namath, ex quarterback dei New York Jets (con cui vinse il Super Bowl III) e tra l’altro dei Rams per uno spezzone della sua carriera. E cose incredibili ne hanno fatte sia Bengals che i Rams: i primi hanno ribaltato ogni pronostico che li vedevano al termine di questa stagione con un record negativo in saccoccia, arrivando invece sul palcoscenico più importante, i secondi invece hanno finora messo in scena un football tanto divertente quanto efficace. Il football americano, sport per antonomasia cinematografico, ci offre l’ennesimo capitolo dalla sceneggiatura ‘rivelazione contro corazzata‘: i Rams partono per forza di cose favoriti, ma occhio ad eventuali colpi di scena. In fondo Hollywood non è poi così lontana…