“Non prometto che vinceremo un titolo. So quanto sia dura mantenerla questa promessa. Non siamo pronti per ora, proprio no. Certo, vorrei vincerlo l’anno prossimo, ma sono realista: sarà un processo lungo, molto più di quello del 2010. La mia pazienza sarà messa alla prova, lo so, vado verso una situazione particolare, con una squadra giovane e un nuovo coach. Io sarò il vecchio saggio. Ma mi emoziona poter mettere insieme un gruppo e aiutarlo a raggiungere un livello che non sapevano di poter raggiungere. Adesso mi vedo come un mentore e sono felice di guidare questi giovani di talento”.

Eh sì, ora si può dire che la pazienza è stata ripagata e che la tosta ed intrigante missione, è stata ampiamente compiuta: due anni fa LeBron James annunciava il suo ritorno ai Cleveland Cavaliers tramite una lettera pubblicata su ‘Sports Illustrated’, in cui dichiarava di voler regalare alla squadra della sua terra il primo titolo della sua storia. Con le unghie e con i denti, con qualche sofferenza e ovviamente grazie a delle partite da incorniciare, quell’agognato titolo è arrivato dopo la rimonta incredibile sul 3-1 compiuta ai danni dei Golden State Warriors.

Una cavalcata dura, lunga ed estenuante, iniziata nell’estate 2014, proprio quando il Prescelto, da buon figliol prodigo, ha deciso di rivestire quella casacca tolta nel 2010 per vestire quella dei Miami Heat. Un’intera città, un intero stato a far festa, a riaccoglierlo a braccia aperte, per tentare insieme di raggiungere l’obiettivo tanto desiderato. La dirigenza Cavs fa di tutto fin da subito per dare una mano al proprio Re: il promettente rookie Andrew Wiggins viene sacrificato per acquisire Kevin Love, in modo da comporre assieme a LeBron e Kyrie Irving  il classico ‘big three’; nell’inverno successivo arrivano giocatori di contorno validi come JR Smith, Iman Shumpert e Timofey Mozgov. Tutto sembra pronto per l’assalto, ma prima l’infortunio di Love e poi quello in gara 1 delle Finals di Irving complicano parecchie le cose, come se quella maledetta sfortuna fosse sempre lì a colpire una franchigia sventura. David Blatt si affida a James, e lui risponde con delle prestazioni leggendarie (tanto da sfiorare la vittoria del titolo di MVP delle Finals seppur perdendo), ma i Warriors sono troppo forti e hanno la meglio.

Cavaliers titolo NBA LeBron James

LeBron James esulta insieme agli altri giocatori dei Cleveland Cavaliers dopo la vittoria del titolo.

Lo sconforto ritorna imperturbabile, così come la voglia di riprovarci. I Cavs partono con un record positivo in regular season, poi arriva il cambio in panchina, con Tyronn Lue che sostituisce Blatt, al fine di riportare serenità e coesione in uno spogliatoio con troppi musi lunghi. Giungono i playoff, dopo aver conquistato il primo posto nella Eastern Conference con 57 vittorie e 25 sconfitte. James e tutti i Cavs mettono le cose in chiaro fin da subito, spazzando via Detroit Pistons, Atlanta Hawks e Toronto Raptors. Il sanguinoso rematch contro i Warriors è servito. Si va sotto 2-0 nelle due gare ad Oakland, le distanze vengono accorciate in gara 3, per poi essere allungarsi di nuovo nella partita successiva. Gara 5 è il vero crocevia, un appuntamento da non mancare, un appuntamento a cui il King risponde presente: 41 punti, 16 rimbalzi e 7 assist (insieme ai 41 centri di Irving) ridanno un lumicino di speranza a tutta Cleveland, che assiste ad un’altra prova magistrale del proprio beniamino nel sesto atto della serie (altri 41 punti come se non fossero niente). Come un treno che non accenna a fermarsi, come un uomo stracarico di determinazione e con una sola cosa in testa. rinviato ad una gara 7 non adatta ai deboli di cuore. Vestendo i panni del condottiero più abile e carismatico, James sale per l’ennesima volta in cattedra, giocando un match da manuale, in cui spicca la devastante quanto decisiva stoppata su Andre Iguodala nel finale. La tripla del buon Kyrie, un libero fondamentale portato a casa dal 23. Finisce 93-89, con i tutto il team dei Cavaliers che esulta a non finire nel bel mezzo del silenzio gelido dell’Oracle Arena.

27 punti, 11 rimbalzi 11 assist, 2 palle rubate e 3 stoppate nella partita più importante. Un referto quantomai dolce, numeri da vero campione che rendono solo l’idea della sua grandezza. Le lacrime vere, di gioia, la felicità ineguagliabile di chi, dopo una scalata ricca di ostacoli, è riuscito ad arrivare meritatamente alla meta: LeBron James non ha solo scritto un’altra pagina di storia della NBA, ma è stato firmatario di una delle imprese più epiche dello sport americano. Sì, perchè dominando, nel vero senso della parola, è riuscito a strappare a Cleveland quella scomoda zavorra di città perdente che la caratterizzava fin dalle origini, è riuscito a togliersi di dosso quell’etichetta con su scritto ‘loser‘ che qualche detrattore ancora gli riservava ingiustamente. Con una forza disumana ed una volontà inossidabile, con delle capacità al di fuori dal comune: ad LBJ ci sono volute due stagioni vissute appieno per riuscire a mantenere la promessa  fatta ai suoi adorati sudditi.

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