Home NBA, National Basketball AssociationApprofondimenti “Dream Games”: come Alessandro Mamoli ha trasfromato l’amore per il basket in un libro

“Dream Games”: come Alessandro Mamoli ha trasfromato l’amore per il basket in un libro

di Carmen Apadula

Sappiamo tutti bene qual è la più grande passione di Alessandro Mamoli. O, almeno, lo possiamo immaginare.

Da lui stesso descritta come una sensazione assurda, “come quando ti piace una ragazza ma non sai bene perché”, quella con il basket è una storia che inizia da lontano.

Inizia quando, da bambino, Alessandro (oppure, come lo chiamiamo noi, “il Mamo”) inizia a frequentare le palestre milanesi.

Arriva a vestire la maglia dell’Olimpia Milano, sbarca negli Stati Uniti e poi arriviamo al Mamo che conosciamo oggi: una pietra miliare di Sky Sport. Con 8 NBA Finals, 4 Final Four NCAA, 4 Europei e 2 Mondiali alle spalle. Ma questa volta ci ha voluto raccontare qualcosa di diverso.

In “Dream Games”, primo libro scritto in completa autonomia, il Mamo racconta di episodi chiave della pallacanestro giocata e non.

The Game of Change, che vede scontrarsi i Loyola Ramblers e i Mississippi State Bulldogs nel 1963. La finale NCAA del 1979 tra Magic Johnson e Larry Bird. La tripla di Ray Allen nelle NBA Finals del 2013. L’ultima partita di Kobe e la sua tragica scomparsa 4 anni dopo. La rimonta dell’Olimpia contro l’Aris Salonicco nel 1986.

Ma “Dream Games” è l’insieme di 7 capitoli che sembrano quasi parte di un diario del Mamo (in cui troviamo anche il racconto del suo personale “dream game”, e cioè una partita di allenamento che nessuno ha visto e nessuno vedrà mai), che sente il bisogno di raccontarci come è arrivato a fare quello che fa e come è arrivato ad essere quello che è.

La pallacanestro è il suo lavoro, certo. Ma non solo.

Il libro parla di un sogno. “Dream Games”, alla fine è una storia d’amore. Tocca vari luoghi, varie epoche, ma che hanno tutte in comune solo una cosa: l’amore incondizionato per questo sport.

Il tutto, racchiuso in poco più di 200 pagine.

“Dream Games”: intervista ad Alessandro Mamoli

In occasione dell’evento “Sky Christmas Special”, tenutosi il 5 dicembre presso la Sede di Sky Italia a Milano Rogoredo, l’autore si è reso disponibile per scambiare due chiacchiere riguardo il suo nuovo libro.

Alessandro, parliamo un po’ del tuo nuovo libro. Innanzitutto, dicci dove lo possiamo trovare e come nasce l’idea di questo secondo libro.

“Lo trovate in tutte le librerie, anche se mi hanno detto che da qualche parte è finito. Non so se è una buona notizia o se non lo hanno mai ordinato (ride, n.d.r.), ma si trova tranquillamente anche su Amazon. Su Internet lo potete ordinare sia cartaceo che in formato EBook. L’idea nasce dall’insistenza della casa editrice. Loro ritengono che i libri di basket funzionino, quindi era da un po’ che spingevano per scrivere questo libro. Io avevo in mente di scrivere le storie di alcune partite poi, nello scrivere, sono riuscito a contaminare il libro con molti aspetti della mia vita sia personali che professionali. Ho intrecciato le storie delle partite che racconto e della mia vita ed è venuta fuori una cosa abbastanza divertente, perché è la storia di uno che ‘non ce l’ha fatta’ perché non è riuscito a fare il giocatore di basket professionista ma solo semi-professionista, ma che ce l’ha fatta perché è riuscito ad arrivare a lavorare a Sky come giornalista”.

Qual è il capitolo che avevi più a cuore di scrivere?

“In realtà non ce n’è uno in particolare che porto più nel cuore, sono capitoli molto diversi tra loro. Alla fine mi sono ritrovato a scrivere, ad esempio, un capitolo per rispondere a tutti coloro che mi chiedono consigli per iniziare a fare questo lavoro, anche se è un capitolo che andrebbe aggiornato ogni settimana visto come cambia il nostro lavoro e in generale la tecnologia. Mi ha divertito molto scrivere il mio ‘dream game’, perché ci si aspetta il racconto di una partita spettacolare e invece è una partita particolare che non voglio spoilerare a quelli bravi che la andranno a leggere. Ti posso dire anche il racconto della settimana che ho passato a Los Angeles quando ho parlato della scomparsa di Kobe. Era una cosa che mi ero tenuto dentro, ma sentivo il dovere di restituirla e liberarmi del racconto di ciò che avevo vissuto. Quelle emozioni, quelle sensazioni che ho provato in quella settimana lì le ho lasciate andare proprio di getto”.

Essendo una giornalista alle prime armi, la mia preoccupazione è: come potrà evolvere questo lavoro nel futuro? Cosa pensi che potrà succedere con l’avvento dell’intelligenza artificiale? Il nostro ruolo, quello del giornalista, potrà scomparire del tutto?

“Credo e spero di no. L’intelligenza artificiale un po’ mette paura, un po’ risolve tanti problemi. Credo che il dovere del giornalista sia rispondere sempre ai principi che gli americani chiamano ‘le 5 W’. Scegli tu il percorso deontologico, scegli tu il tema ma credo che la parte di analisi, la parte di critica, lo sviluppo di un contenuto giornalistico, per quanto avanzata possa essere un’intelligenza artificiale, non potrà mai raggiungere il punto di vista personale. La forza del giornalista, soprattutto nel passato e forse oggi un po’ meno, è la credibilità. Tu vai a leggere un giornalista e, se ti piace e ritieni che sia valido, è perché ritieni che quello che scrive abbia un senso critico e ti dia un qualcosa in più rispetto ad altri. Mi auguro che quella parte lì non sia mai sostituita da un’intelligenza artificiale perché, seppur avanzata, non può arrivare ad avere dei punti di vista personali legati anche ad un volto”.

Sappiamo che il basket italiano ha sempre avuto un ruolo molto importante nella tua vita. Dunque, sorge spontanea una domanda. Se dovessi decidere di commentare per il resto della tua vita solo una cosa tra la NBA e la LBA, cosa sceglieresti?

“Sicuramente la NBA per: la quantità di partite che si giocano, l’attenzione che riceve come campionato, lo spessore dei personaggi, ti porta ad avere molti più contenuti di cui parlare rispetto ad altre leghe. Quindi probabilmente ti direi la NBA per questo, perché ogni giorno una partita o un fatto che succede, dentro o fuori dal campo, ti porta a fare delle analisi e ad avere una certa continuità con i prodotti che offri”.

Chiudiamo con un messaggio per i nostri lettori: un buon motivo per prendere il tuo libro.

“Un buon motivo per prendere il mio libro non c’è (ride, n.d.r.). Però, se amate questo sport e volete leggere le storie di uno che voleva fare il giocatore di pallacanestro, ci è arrivato molto vicino e non ci è riuscito ma, nella seconda parte della sua carriera, ha avuto la possibilità di raccontare da molto vicino alcune delle partite più incredibili della storia del basket, allora può essere divertente. Non è una lettura impegnativa, va giù come una granita. Quindi, se avete del tempo e volete rilassarvi un po’, può essere il libro giusto”.

Si ringrazia il team di Sky per la possibilità, e l’intervistato per la cordialità dimostrata.

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