Vincere è difficile, ripetersi lo è ancora di più e del resto nessuna squadra NBA è mai riuscita a conquistare per due volte di fila il titolo NBA negli ultimi 5 anni, in attesa di vedere se i Denver Nuggets ci riusciranno.
Non ce l’hanno fatta i Toronto Raptors campioni nel 2019 e poi abbandonati da Kawhi Leonard, non ci sono riusciti i Lakers né i Milwaukee Bucks. I Golden State Warriors 2023 non hanno mai avuto una chance concreta di bissare il successo a suo modo clamoroso del 2022.
I Denver Nuggets devono ancora probabilmente realizzare di aver vinto in gara 5 contro i Miami Heat il primo titolo NBA della loro storia per pensare già a cosa verrà da qui in poi. Nikola Jokic, oggi il miglior giocatore di basket al mondo, sta già pregustando il suo rientro a casa, a Sombor in Serbia dai sui amati cavalli e dalla sua famiglia. Jamal Murray, canadese di ghiaccio, si è sciolto in lacrime sul podio della premiazione pensando all’infortunio dell’aprile 2021, alle ben due post-season saltate e alla faticaccia fatta per tornare il giocatore di prima, se non migliore. Di Michael Porter Jr e del suo calvario con una schiena di cristallo si è già scritto tanto, e che dire di Jeff Green, che nel 2012 aveva subito un intervento a cuore aperto per correggere un difetto cardiaco congenito, e che ha inseguito l’anello per tutta la sua carriera e lo ha vinto a 36 anni?
Solo un uomo, coach Michael Malone, ha avuto la freddezza e il calcolo di lanciare già dal palco della premiazione la sfida all’intera NBA: i suoi Denver Nuggets, dopo averne passate di ogni e dopo aver resistito chissà quante volte alla tentazione di disfare tutto con una trade, magari con due, sono sul tetto della NBA per restarci almeno finché qualcuno più bravo di loro non ce li toglierà.
“Questa vittoria è il culmine di tutto il lavoro, il sacrificio la dedizione che ci abbiamo messo. Ma ho una notizia per tutti voi: noi non vogliamo fermarci qui, vogliamo di più, decisamente di più. Abbiamo fatto qualcosa che questa franchigia non aveva mai fatto prima ma abbiamo tanto talento in questo spogliatoio“, ha detto il coach a caldo. Ma i Nuggets possono davvero diventare la prossima dinastia NBA?
Hanno il miglior giocatore al mondo oggi in Nikola Jokic, il serbo ha appena compiuto 28 anni ed è integro, pochissimo incline (tié) agli infortuni anche grazie al suo modo di giocare, “lento”, tecnico, compassato, cerebrale, altruista, anche conservativo se vogliamo, avrà lunga vita. Ed è sotto contratto fino al 2028.
Jamal Murray ha già dato con la sfiga, di anni ne ha 26 ed è in un certo qual senso l’erede spirituale di Chauncey Billups. Non è ancora stato All-Star in carriera, ma ha già al suo attivo una finale di conference e un titolo, se preso in stagione regolare non lo mettereste probabilmente tra i primi 30-35 giocatori della NBA ma ai playoffs, dove parecchi restano indietro, lui si esalta, come dimostrato nella bolla di Orlando e contro Lakers e Heat in questi playoffs.
Aaron Gordon e Michael Porter Jr, soprattutto il secondo, hanno accettato di buon grado il compito di giocatori di ruolo di lusso: difesa, rimbalzi (13 in gara 5 per Porter Jr), gioco senza palla per sfruttare le doti di uno dei migliori passatori di sempre (lunghi, guardie, ali, fate voi: non importa) e cosa più importante zero eccessi di ego. Gordon avrebbe dovuto andare all’All-Star Game quest’anno, per 3-4 mesi è stato il secondo miglior giocatore di Denver quando i Nuggets aspettavano Murray. Michael Porter Jr ha preso nei denti le prime NBA Finals della sua carriera ma si è adattato, è cresciuto e ha ascoltato Malone, Murray e Jokic e ha sentito la pressione alle spalle di Bruce Brown Jr e Christian Brown. Ed è stato importante se non decisivo a tratti in gara 4 e 5.
Gordon, il collante Kentavious Caldwell-Pope e MPJ sono sotto contratto a lungo, Christian Braun si è rivelato scelta azzeccata al draft del neo Gm Calvin Booth che ha sostituito Tim Connelly, e farà parte a lungo di questo roster. Bruce Brown Jr, per sommo dispiacere dei Brooklyn Nets che lo hanno fatto andare via, si è guadagnato il suo sostanzioso rinnovo di contratto. La panchina resta invero corta, Ish Smith e zio Jeff Green saranno free agent ma dall’anno prossimo potrebbero avere più minuti giocatori come Zeke Nnaji, Vlatko Cancar e Peyton Watson.
Mancano una point guard e un centro di riserva (né Thomas Bryant né DeAndre Jordan hanno passato l’esame) ma di veterani con ancora qualcosa da dare i Nuggets ne avranno a disposizione in free agency, ora che sono campioni NBA e che hanno questo Nikola Jokic.
Per parlare di dinastia è ovviamente presto, e del resto Malone non ha usato questo termine. Ripetersi è come detto difficilissimo, come insegnano i Milwaukee Bucks basta un infortunio a vanificare tutto. Il tempo è però dalla parte dei Denver Nuggets che hanno avuto il merito di coltivare il loro gruppo, con fiducia e senza fretta.
E si sa anche che vincere aiuta a vincere…