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I quintetti del millennio: Detroit Pistons

di Stefano Belli
detroit pistons

Tra il 2001 e il 2008, i Detroit Pistons sono stati una delle migliori squadre NBA. Hanno disputato le finali di Conference per sei stagioni consecutive, raggiungendo le Finals in due occasioni e vincendo il titolo nel 2004. Ci sono riusciti soprattutto grazie al “Best Five Alive“, ovvero l’impeccabile quintetto messo a disposizione di coach Larry Brown.

È per questo che i cinque membri di quella formidabile lineup, oltre al grande allenatore, formano in blocco il nostro quintetto del millennio. Anche perché i Pistons, terminato quel ciclo, sono sprofondati in una mediocrità senza fine. C’è però spazio per un giocatore di un’atra epoca nello spot dedicato al sesto uomo. Cominciamo subito: questo è il quintetto ideale dei Pistons dal 2000 in avanti.

Playmaker: Chauncey Billups

Terza scelta al draft 1997, Billups viene presto etichettato come un “bidone”. Cambia tre squadre nelle sue prime tre stagioni da professionista, ma né a Boston, né a Toronto, né a Denver riesce a trovare la sua dimensione. Comincia finalmente ad emergere nel biennio trascorso a Minneapolis, senza però impressionare più di tanto; inell’estate del 2002, i Timberwolves decidono in fatti di non offrirgli un rinnovo contrattuale. Chauncey firma quindi con i Pistons, che stanno raccogliendo altri ‘reietti’ per formare la corazzata che verrà. Billups prende subito il timone della squadra, guadagnandosi il soprannome Mr. Big Shot a suon di canestri decisivi. Al primo tentativo, i Pistons raggiungono le Eastern Conference Finals, dove perdono contro i New Jersey Nets di Jason Kidd. L’anno dopo arriva il riscatto; la truppa di coach Larry Brown marcia indisturbata fino alle NBA Finals, dove annichilisce i favoritissimi Los Angeles Lakers di Kobe Bryant e Shaquille O’Neal. Chauncey, direttore perfetto di una grande orchestra, viene eletto MVP della serie. Nelle stagioni successive, Billups si stabilizza nell’èlite della lega, collezionando tre All-Star Game, due inclusioni nei quintetti All-NBA e due in quelli All-Defensive. A novembre 2008, quando quell’epoca gloriosa è ormai al tramonto, viene ceduto ai Denver Nuggets, con cui vivrà due stagioni ad altissimi livelli.

Guardia: Richard Hamilton

Dopo aver vinto da protagonista il titolo NCAA 1999 con UConn, ‘Rip’ è emerso tra i giovani più interessanti della NBA con la maglia degli Washington Wizards. Nell’estate del 2002, però, la dirigenza decide di puntare sull’usato sicuro, prendendo Jerry Stackhouse dai Pistons per affiancarlo a Michael Jordan, pronto per la stagione d’addio. Hamilton viene quindi spedito a Detroit, di cui diventa subito una micidiale arma offensiva. Si rivela un perfetto compagno di backcourt per Chauncey Billups, e gioca un ruolo determinante nella grande cavalcata dei Pistons ai vertici della lega. Rip mette una firma importante sul titolo vinto nel 2004, segnando 31 punti in gara-3 delle Finals. Detroit si mantiene ad alti livelli anche negli anni successivi, facendo guadagnare a Hamilton tre convocazioni consecutive all’All-Star Game. Rip rimane a Detroit anche dopo la fine di quel ciclo vincente, ma l’età che avanza e le ambizioni ridimensionate della squadra lo potano sempre più lontano dai riflettori. A dicembre 2011 viene tagliato e firma per i Chicago Bulls, con cui vivrà le ultime due stagioni della sua illustre carriera.

Ala piccola: Tayshaun Prince

L’estate del 2002 è quella che dà il via alla corsa ai vertici dei Pistons. Oltre agli innesti di Billups e Hamilton, infatti, con la ventunesima scelta al draft viene selezionato Prince, versatile ala da Kentucky. Nel suo anno da rookie viene utilizzato pochissimo da coach Rick Carlisle, il quale però gli concede spazio ai playoffs. L’eccellente risposta di Prince e il cambio di panchina in estate, con l’avvento di Larry Brown, gli aprono le porte del quintetto. Tayshaun è il collante perfetto del Best Five Alive; in attacco si getta come un puma negli spazi aperti dalle star che lo circondano, e in difesa si occupa speso del miglior realizzatore avversario. Prince decide gara-2 delle Eastern Conference Finals 2004 con una memorabile stoppata su Reggie Miller, poi rende la vita difficile a Kobe Bryant in finale, accumulando mattoncini fondamentali per la conquista del titolo NBA. Nelle quattro stagioni successive viene costantemente incluso nel secondo quintetto All-Defensive, ma il suo traguardo più impressionante è non aver saltato nemmeno una partita tra il 2003 e il 2009. Ultimo sopravvissuto del grande quintetto che fu, Prince rimane a Detroit fino a gennaio 2013, quando viene ceduto ai Memphis Grizzlies. Tornerà ai Pistons a febbraio 2015, per una parentesi di soli due mesi.

Ala grande: Rasheed Wallace

A cavallo tra i due millenni, ‘Sheed’ è stato il leader tecnico dei Portland Trail Blazers, che ha trascinato a due finali di Conference. Si è messo in mostra sia per il talento cristallino, sia per le numerose intemperanze, in campo e fuori. A febbraio 2004, la franchigia dell’Oregon sta cercando di ripulire la sua immagine ‘sporca’ smantellando una squadra ribattezzata “Jail Blazers” per le numerose vicissitudini extra-parquet di molti suoi componenti. Wallace viene ceduto agli Atlanta Hawks, con cui disputa un solo in contro, poi viene girato ai Pistons, con l’impegno di concentrarsi esclusivamente sul basket giocato e di lasciare da parte il resto del pacchetto. L’arrivo di Rasheed si rivela la scintilla decisiva che spinge Detroit fino al titolo NBA. Dopo aver contribuito alla storica vittoria contro i Lakers, regala ai compagni una replica della cintura di campione WWE, con cui spesso Wallace si presenta nelle arene avversarie. Al pari di Billups e Hamilton, dopo la gloria di squadra arriva quella individuale. Nel 2006 e nel 2008, Sheed disputa il terzo e il quarto All-Star Game della sua carriera. Nell’estate del 2009, quando la corsa di quei Pistons è giunta ormai al capolinea, firma per i Boston Celtics. Li aiuterà a raggiugere le Finals, perse contro i Lakers, dopodiché annuncerà il ritiro, salvo poi rimangiarsi la parola due anni più tardi e disputare un ultimo spicchio di stagione con i New York Knicks.

Centro: Ben Wallace

‘Big Ben’ è indubbiamente il giocatore-simbolo dei grandi Pistons. Snobbato da tutti al draft 1996 e tagliato persino dalla Viola Reggio Calabria, trova un posto nel roster degli Washington Bullets, con cui disputa tre stagioni da gregario. Guadagna spazio a Orlando, dove viene ceduto nel 1999, ma l’estate successiva passa ai Detroit Pistons nella sign-and-trade che porta Grant Hill in Florida. Sebbene sia arrivato nel Michigan quasi per caso, Ben diventa la colonna portante della squadra, consacrandosi tra i migliori lughi difensivi nella storia NBA. Tra il 2001 e il 2006 viene sempre incluso nel primo quintetto All-Defensive e in uno dei quintetti All-NBA, viene premiato quattro volte come Difensore dell’Anno (record condiviso con Dikembe Mutombo) e partecipa a quattro All-Star Game. Malgrado i soli 206 centimetri di altezza, nettamente sotto la media dei centri NBA, guida due volte la lega per rimbalzi e una volta per stoppate. Le sue schiacciate sulla testa di Shaquille O’Neal, a cui Wallace deve almeno 10 centimetri e 40 chili, e le sue urla di battaglia segnano indelebilmente le Finals 2004, culminate con uno storico titolo NBA. A novembre, un suo alterco con Ron Artest degli Indiana Pacers innesca la celeberrima “Malice at the Palace“, ovvero la rissa più famosa nella storia della lega. Per via di alcuni dissapori con coach Flip Saunders, che ha preso il posto di Larry Brown, nell’estate del 2006 Ben decide di lasciare i Pistons, firmando da free agent con i Chicago Bulls. Tornerà a Detroit nel 2009, trascorrendo con una versione crepuscolare della squadra le ultime tre stagioni della sua carriera.

Sesto uomo: Andre Drummond

Scelto dai Pistons con la nona chiamata al draft 2012, il centro da UConn non si è avvicinato minimamente ai successi raggiunti dai colleghi citati finora, ma si è imposto come uno dei migliori rimbalzisti dell’epoca moderna, guidando la NBA nella specialità per quattro stagioni. Nel 2016 Drummond, che riporta Detroit ai playoffs dopo 7 anni di digiuno, viene inserito nel terzo quintetto All-NBA e debutta all’All-Star Game, dove tornerà nel 2018.

Allenatore: Larry Brown

Per trasformare un gruppo di scarti NBA, privo di una superstar vera e propria, in una delle squadre più dominanti degli anni Duemila, è servito un grande condottiero. Terminata la turbolenta esperienza a Philadelphia, coach Brown approda sulla panchina dei Pistons nel 2003, e nell’arco di una sola stagione guida Detroit al titolo. L’anno dopo torna in finale, dove viene sconfitto dal suo ex-allievo Gregg Popovich. Archiviata quella delusione, Brown cede al corteggiamento dei New York Knicks, lasciando da trionfatore il Michigan dopo due irripetibili stagioni.

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