Home NBA, National Basketball Association Half Court Shot, Nick Anderson ed il suo sliding doors

Half Court Shot, Nick Anderson ed il suo sliding doors

di Alberto Vairo

Era un sabato pomeriggio di inizio gennaio del 1995 quando, per puro caso, m’imbattei nella mia prima partita di basket NBA. A quei tempi era TeleMonteCarlo a trasmettere la pallacanestro professionistica americana in Italia, la gara di quel pomeriggio era un Charlotte Hornets (quelli originali) contro gli Orlando Magic giocata il 29 dicembre del ’94. Ricordo che fu amore a prima vista, anche se non capivo assolutamente nulla di quello che stava accadendo su quel campo con un calabrone gigante raffigurato. Ricordo però, che in quei giorni la TV passava lo spot del film “Basta Vincere” (Blue Chips) in cui un gigante di colore di nome Shaquille O’Neal interpretava un giocatore di basket. Guardando la partita sentii nominare più volte tale O’Neal e così decisi che, senza capirci nulla, avrei tifato per la squadra in cui giocava questo ragazzone di 216 centimetri. E fu così che iniziò la mia passione per la NBA e per la pallacanestro. Quell’anno gli Orlando Magic raggiunsero la prima finale NBA della loro giovanissima storia (“che fortuna”, pensai, “primo anno che tifo per sti qua e ci giochiamo già il titolo”. Per la serie, non tutto è chiaro dall’inizio)  perdendo con un secco 4-0 contro i campioni in carica degli Houston Rockets. Ci sono diversi giocatori di cui si potrebbe parlare di quei Magic della stagione 1994/95, magari proprio di quel Shaquille O’Neal oppure di Anfernee “Penny” Hardaway, mio vero idolo di gioventù. Ma un solo componente di quell’anno ha scaturito in me la voglia di scrivere questo pezzo, per il fatto di essere il vero “responsabile” della NBA attuale (ne parleremo più avanti), ed è Nelison “Nick” Anderson. La sua storia da dopo gara-1 della finale del ’95 non può non lasciare indifferenti.

Nick Anderson è nato il 20 gennaio del 1968 ed è un figlio di Chicago. Frequentò e giocò per la Simeon Career Academy High School dove fu nominato, nel 1986, “Illinois Mr. Basketball” per aver condotto la squadra a diventare campione della città di Chicago e ad essere, secondo USA Today, uno dei top team a livello nazionale. Andò poi alla University of Illinois dove rimase per due anni e contribuì a raggiungere le Final Four di Seattle nel 1989 insieme a Duke, Seton Hall e i futuri campioni di Michigan. Anderson fece un torneo ad altissimo livello, concludendolo con 20,4 punti e 9,4 rimbalzi di media, con prestazioni da 24 punti alle Sweet Sixteen contro i Louisville Cardinals, e da 24 punti e 16 rimbalzi alle Elite Eight contro i Syracuse Orangemen di Derrik Coleman. I compagni di viaggio di Nick Anderson furono Kendall Gill, Stephen Bardo, Kenny Battle, Lowell Hamilton e Marcus Liberty. Tutti, escluso Hamilton, giocarono nella NBA. Nei due anni di college, Anderson, giocò 69 partite (vincendone 52), ed ebbe 16,9 punti e 7,2 rimbalzi di media.

Proprio nel 1989 si dichiarò eleggibile per il Draft e gli Orlando Magic erano un team di espansione della NBA e si accingevano ad iniziare la loro prima stagione. Anderson fu scelto all’undicesima chiamata assoluta proprio dai Magic e divenne così la prima scelta nella storia della franchigia. Come tutti i team di espansione, i Magic erano una squadra molto giovane e quindi per i primi anni  finirono molto spesso in lotteria e per questo ottennero scelte molto alte. Negli anni seguenti alla chiamata di Anderson arrivarono Dennis Scott nel 1990, Shaquille O’Neal nel 1992 e Chris Webber nel 1993. Webber fu subito scambiato con i Golden State Warriors per Penny Hardaway. Per le sue due prime stagioni in NBA, Anderson fu la prima opzione offensiva dei giovani Magic, ma dal Draft del 1993 le cose iniziarono a cambiare. La squadra aveva accumulato talento e per Nick si andava delineando un ruolo da titolare sicuramente, ma non più come prima opzione dell’attacco. Le sue attitudini in difesa ed il suo atletismo sommato ad una grande mano da tre punti contribuirono a formare, insieme a Penny Hardaway, uno dei back-court più forti dell’intera Lega. Nella stagione 1993/94 i Magic raggiunsero per la prima volta i playoffs grazie anche alle 50 vittorie in regular season, uscendo però al primo turno con un secco 3-0 contro gli Indiana Pacers. Ma nell’estate seguente arrivò nella città della Florida Horace Grant, un veterano con già tre anelli alle dita, in uscita dai Chicago Bulls. I Magic fecero un notevole salto di qualità e vinsero ben 57 partite nella stagione regolare. In quell’anno Nick Anderson fu il terzo marcatore della squadra, dietro solo a Penny e Shaq, con 15,8 punti a gara, il 41,5% da tre punti ed il 70% abbondante dalla lunetta. Ai playoffs i Magic erano testa di serie numero uno nella Eastern Conference e sembravano destinati a raggiungere almeno le finali di conference. Un solo problema, a fine regular season era tornato Michael Jordan ed il quinto posto sulla griglia dei Chicago Bulls non era credibile. I Magic si sbarazzarono per 3-1 dei Boston Celtics al primo turno, così come i Bulls fecero lo stesso contro gli Charlotte Hornets. La semifinale ad est sarebbe stata Magic contro i Bulls. Dopo una gara-1 vinta da Orlando con il punteggio di 94-91, Nick Anderson fece delle dichiarazioni poco felici. Dopo una prestazione non troppo esaltante di Jordan, Anderson disse che era molto più facile giocare contro il Jordan con il 45 che contro quello che indossava il numero 23. Mai far arrabbiare MJ, infatti l’ex North Carolina si presentò per gara 2 con  il 23 sulle spalle (che non lasciò più fino al suo ritiro definitivo) e con i suoi 38 punti trascinò i Bulls alla vittoria e pareggiò la serie. Serie che però fu poi vinta dai Magic per 4-2. Orlando vinse anche la finale di conference contro gli Indiana Pacers per 4-3. Serie in cui fu sempre rispettato il fattore campo, e in cui il nostro Nick concluse con 14 punti di media (quarto marcatore di squadra), il 40,6% da tre punti ed il 69% ai tiri liberi.

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Ed eccoci così alla finale NBA, la prima in assoluto nella storia dei Magic. Di fronte si trovarono i campioni in carica degli Houston Rockets di Hakeem Olajuwon e Clyde Drexler. Orlando era una squadra con poca esperienza, sia dal punto di vista dei giocatori (solo Grant aveva giocato delle finali) sia dal punto di vista dell’allenatore. Sulle ali dell’entusiasmo e (soprattutto) dell’incoscienza, i Magic conclusero il primo quarto avanti 30-19 e nel secondo quarto toccarono anche il +20, ma sul finire della frazione i Rockets riuscirono a rosicchiare qualche punto e chiudere il primo tempo sotto di 11 punti. Nel terzo quarto un grandissimo parziale, soprattutto da parte di Kenny Smith da oltre l’arco, mandò Houston avanti. L’ultimo periodo si giocò all’insegna dell’equilibrio fino all’episodio cruciale della storia cestistica ed umana di Nick Anderson. Fino a quel momento la partita di Anderson diceva 22 punti, 11 rimbalzi, 5 assist e 3 palle rubate. Orlando era avanti 110 a 107 ad una manciata di secondi dalla sirena finale e Nick, dopo aver subito un fallo, si apprestava ad andare in lunetta per i classici due tiri liberi. Uno solo a segno avrebbe dato due possessi di vantaggio a Orlando e quindi la conseguente vittoria e l’uno a zero nella serie. Sbaglia il primo. Sbaglia il secondo, ma il tiro essendo andato lungo sul ferro s’impenno e diete il tempo ad Anderson di leggerlo in aria e recuperare il suo rimbalzo. Fallo e altri due liberi. Corto il primo, e corto il secondo. Stavolta il rimbalzo è dei Rockets. Quattro tiri liberi consecutivi sbagliati, gli unici liberi tirati da Anderson nella partita. Probabilmente il finale già lo sapete, Smith che segna da tre e pareggia la gara, supplementare e tap-in di Olajuwon all’ultimo secondo per la vittoria 120-118 dei Rockets. Da quel giorno Anderson non fu più lo stesso, sparì completamente dalla serie finale, per le successive tre partite segnò 9 punti di media con il 28% dal campo. La gente cominciò a chiamarlo Nick “The brick” (il mattone) o Brick Anderson. La sua carriera, che fino a quella maledetta finale del 1995 era stata di un buon livello, cominciò a decadere.

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Nella stagione successiva cominciarono i suoi problemi ai tiri liberi, ogni volta che andava in lunetta il ricordo di quei quattro tiri sbagliati si ripresentava e fu così per il resto della carriera. Orlando fece una stagione per certi versi migliore di quella precedente, vincendo 60 partite e raggiungendo in scioltezza la finale di conference dove trovò i Bulls delle 72 vittorie. Durante gara-3 Anderson s’infortunò e la sua stagione finì lì. I Magic persero la serie 4-0 e in estate Shaq scelse il sole di Los Angeles.

Nella stagione 1996/97 la percentuale dalla lunetta di Anderson scese al 40,4% e la sua media punti crollò a 12, e nei minuti finali di partite punto a punto il coach era costretto a farlo sedere in panchina per i suoi problemi ai liberi.

Nella stagione successiva si ritrovò a fine gennaio con 6,5 punti di media ed il 36% dalla linea della carità. Ma incredibilmente, da quel momento giocò la restante regular season a 22,6 punti di media ed un rincuorante 68% ai liberi. Concluse la stagione a 15,3 punti per partita.

Nell’anno del lockout fu mandato ai Sacramento Kings, dove rimase due stagioni e poi ai Memphis Grizzlies.

Leggendo un articolo molto interessante di Yahoo Sports ho trovato concetti che ho sempre pensato ma, visto il mio status di tifoso ho sempre cercato di non divulgare per paura di essere frainteso. Se Orlando avesse vinto gara-1 delle Finali del 1995, secondo molti, probabilmente avrebbe anche vinto il titolo. Non tanto per il vantaggio di 1-0, che è poco influente in una serie a 7 partite, ma piuttosto per le ripercussioni psicologiche avute sulla squadra per il modo in cui è stata persa la gara. Una vantaggio importante evaporato, poi tre punti di vantaggio a 10 secondi dalla fine ricostruiti con la forza contro una squadra esperta gettati alle ortiche da quei 4 maledetti liberi sbagliati. Un giocatore importante, Nick Anderson, perso per tutta la serie e che con il suo malessere interiore ha contagiato i compagni, che non sono più stati loro stessi. Ma Anderson non ha solo la “responsabilità” di aver fatto perdere un anello ai Magic, la questione potrebbe essere molto più profonda, uno sliding doors in cui è coinvolta la storia della NBA. Se Orlando avesse vinto quel titolo, forse non ci sarebbe stato uno Shaq ai Lakers, non ci sarebbe stata la dinastia Lakers dei primi anni 2000, e pensate ad un Kobe Bryant nei suoi primi anni a Los Angeles senza Shaq, siamo sicuri che avrebbe cinque anelli alle dita? Si lo so, la teoria dei se e dei ma lascia il tempo che trova, ma provate anche solo per gioco a pensare se Nick Anderson avesse segnato uno di quei quattro liberi e Orlando avesse vinto il titolo, tutta la NBA che conosciamo oggi sarebbe potuta essere completamente diversa.

Alberto Vairo (@albicoach)

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2 commenti

Edoardo 19 Gennaio 2016 - 0:01

Grandissimo!!! Quella partita me la ricordo bene… scott burrel imperioso, dell curry ed hersey hawkins letali da tre e larry johnson a battagliare in mezzo all’area contro un giovane shaq ed un penny hardaway maestoso. L’avevo registrata per caso e fu pure per me una folgorazione:Ugo Francica Nava che urla “PARRISH! GRANDE PARRISH!!! TUTTI IN PIEDI PER THE CHIEF”è uno dei miei primi ricordi inerenti all’nba… grazie per avermi fatto fare questo viaggio nel passato

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@MarkTarantino89 11 Maggio 2016 - 23:36

Verissimo 🙂

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