Home NBA, National Basketball AssociationApprofondimenti I quintetti del millennio: Oklahoma City Thunder

I quintetti del millennio: Oklahoma City Thunder

di Michele Gibin

Il tormentato trasferimento dei SuperSonics, nel 2008, ha lasciato un vuoto incolmabile a Seattle, dove a sedici anni di distanza si aspetta ancora il ritorno della squadra, e nel cuore dei nostalgici. Allo stesso tempo, però, ha generato una franchigia capace di mantenersi con costanza ad alti livelli, di arrivare a un passo dal titolo NBA, di schierare campioni di primissima fascia e di imporsi come un modello organizzativo da imitare. Ecco il quintetto ideale degli Oklahoma City Thunder dal 2008 in avanti.

Point guard: Russell Westbrook

L’approdo di Westbrook nella NBA coincide con il passaggio di consegne tra Seattle e Oklahoma City. Scelto formalmente dai Sonics, diventa uno dei volti dei nuovi Thunder. La point guard da UCLA parte subito in quintetto, facendosi notare per l’atletismo fuori dal comune e per una ferocia agonistica con pochi eguali. Al secondo anno da professionista aiuta Kevin Durant a guidare Oklahoma City ai suoi primi playoffs. Nel 2010/2011 supera i 21 punti e gli 8 assist di media, gioca il primo dei suoi 9 All-Star Game e viene inserito nel secondo quintetto All-NBA. La corsa dei giovani Thunder si ferma alle finali di Conference, contro Dallas, ma nel 2012 nessuno, o quasi, riesce a fermare la marea.

Guidata da Durant e Westbrook, la squadra di Scott Brooks spazza via Mavs, Lakers e Spurs e raggiunge le NBA Finals. Nonostante le grandi performance di Russ nella serie per l’anello, il sogno si infrange contro lo scoglio rappresentato dagli Heatles di LeBron James. Il futuro, però, sembra tutto nelle mani di OKC. L’anno dopo, invece, un infortunio al ginocchio subito al primo turno playoff mette fuori causa Westbrook. Nel 2015 tocca a Durant riempire la lista infortunati, spegnendo sul nascere le ambizioni dei Thunder. Con il gruppo al completo, OKC arriva a un passo dalle Finals sia nel 2014, sia nel 2016, ma San Antonio prima e Golden State poi trasformano una potenziale dinastia in una grande incompiuta. Quest’ultimo KO spinge Kevin Durant a scegliere la Bay Area. Westbrook, a suo dire “tradito” dall’ex-compagno, sfoga la sua ira funesta con una stagione leggendaria. Nel 2016/17 Russ è il miglior realizzatore della lega con 32 punti di media, a cui aggiunge oltre 10 rimbalzi e 10 assist; per la prima volta dal 1962, un giocatore chiude una regular season in tripla-doppia di media. Il premio di MVP è una conseguenza inevitabile, oltre che il meritato coronamento di un’impressionante crescita individuale. Quello che sembra un irripetibile record, stabilito ai tempi da Oscar Robertson, viene eguagliato da Westbrook anche nel 2018 e nel 2019. I Thunder, però, non vanno oltre il primo turno playoffs. Nel 2019, la partenza di Paul George avvia ufficialmente la ricostruzione. Quell’estate, Russ viene ceduto agli Houston Rockets. Lascia l’Oklahoma con un curriculum niente male: un MVP, 8 All-Star Game, di cui due da MVP, e 8 inclusioni nei quintetti All-NBA, due volte miglior realizzatore e due volte migliore assistman NBA.

Guardia: Shai Gilgeous-Alexander

Selezionata dagli Hornets con l’undicesima chiamata al draft 2018, la guardia da Kentucky viene girata subito ai Clippers. Già nel suo anno da rookie si dimostra importantissimo, sui due lati del campo, nella sorprendente qualificazione ai playoff della squadra di Doc Rivers. In estate, però, Los Angeles va all-in con un doppio colpo di mercato: Kawhi Leonard firma da free agent e Paul George viene preso via trade da Oklahoma City. SGA viene ceduto ai Thunder come contropartita principale; diventerà la colonna portante di una nuova era. Alla prima stagione con la nuova maglia, aiutato dal mentore d’eccezione Chris Paul e da altri veterani, riporta OKC ai playoffs nella Bolla di Orlando. Dopo la sconfitta in gara-7 contro i Rockets, nell’Oklahoma parte la smobilitazione definitiva. I compagni più esperti vengono ceduti, e al loro posto arrivano giovani acerbi e non troppo talentuosi. Tra il 2020 e il 2022, Shai mette a referto cifre altisonanti in una squadra senza obiettivi, e puntualmente viene lasciato a riposo dopo ogni minimo problema fisico, al fine di aumentare le chance in chiave lottery. Nel 2022/23, però, la sua ascesa non è più arginabile. Gilgeous-Alexander supera i 31 punti di media, esordisce all’All-Star Game e viene inserito nel primo quintetto All-NBA. Il canadese ripete quelle cifre nella stagione seguente, quando guida anche la NBA per recuperi, trascina i Thunder ai piani alti della Western Conference e avanza una forte candidatura al premio di MVP.

Ala piccola: Paul George

Nell’estate del 2017, PG13 è in procinto di lasciare gli Indiana Pacers. Sulle sue tracce ci sono da tempo Boston e Cleveland, ma all’improvviso si inserisce un terzo incomodo: Sam Presti. Il 6 luglio, il general manager dei Thunder piazza il colpaccio, portando George nell’Oklahoma in cambio di Victor Oladipo e Domantas Sabonis. Affiancando il quattro volte All-Star al’MVP Russell Westbrook e all’altro nuovo innesto, Carmelo Anthony, OKC spera di ridurre il gap con i dominanti Golden State Warriors. Il progetto è però destinato a rimanere sulla carta; George viene inserito nel terzo quintetto All-NBA e i Thunder ottengono il quarto miglior piazzamento a Ovest, ma vengono fermati al primo turno playoffs dagli Utah Jazz di Donovan Mitchell. In estate Paul, che inizialmente sembrava destinato ai Lakers, decide di rinnovare il suo contratto, preparandosi a disputare la migliore stagione in carriera. Nel 2018/19 supera i 28 punti e gli 8 rimbalzi di media, guida la NBA per recuperi, viene inserito nel primo quintetto All-NBA e nel primo All-Defensive e chiude al terzo posto sia le votazioni per l’MVP, sia quelle per il Defensive Player of the Year Award. Dei problemi a entrambe le spalle condizionano però il finale della regular season, e contribuiscono a una nuova eliminazione al primo round, stavolta per mano dei Blazers. Neanche il tempo di smaltire la delusione, che PG13 viene coinvolto in un’altra blockbuster trade: quella che lo porta a Los Angeles, sponda Clippers.

Ala grande: Kevin Durant

Dopo un’ottima stagione d’esordio con i Seattle SuperSonics, KD segue la squadra a Oklahoma City. Con la nuova maglia blu-arancio non diventerà solo l’uomo-franchigia dei neonati Thunder, ma anche uno dei volti principali dell’intera lega. La sua rapida e incontenibile ascesa accompagna di pari passo la scalata dei suoi alle gerarchie della Western Conference. Al suo terzo anno debutta all’All-Star Game, entra nel primo quintetto All-NBA, chiude la regular season come miglior realizzatore NBA (succederà in altre tre delle quattro stagioni successive) e trascina i Thunder ai playoffs.

Nel 2011 si ferma alle finali di Conference contro i Dallas Mavericks, futuri campioni, e l’anno dopo arriva fino in fondo. La finale contro i Miami Heat rappresenta anche lo scontro diretto fra Kevin Durant e LeBron James; destinati a contendersi il trono della lega negli anni a venire. King James vince il primo duello, ma sembrano esserci tutte le premesse affinché la sfida si ripeta presto. Invece, quei Thunder non tornano più in finale. Nel 2013 e nel 2015 vengono fermati dagli infortuni; nel 2014, l’anno in cui Durant viene premiato MVP per la prima volta in carriera, devono fare i conti con il Beautiful Game dei San Antonio Spurs e nel 2016 devono arrendersi in gara-7 ai Golden State Warriors dei record. Diventato free agent, KD decide di lasciare l’Oklahoma per iniziare un nuovo capitolo, proprio nella Bay Area. Come LeBron 6 anni prima, Kevin viene travolto dall’odio e dalla rabbia cieca di una franchigia che ha reso grande e di un popolo che ha fatto sognare a lungo.

Centro: Serge Ibaka

L’ultimo draft dei Seattle SuperSonics, oltre a Westbrook, porta in dote anche il lungo congolese, che diventerà un pilastro degli Oklahoma City Thunder negli anni Dieci. Ibaka resta ancora un anno in Spagna, dove si è trasferito nel 2007, poi atterra nell’Oklahoma. Serge parte come riserva di Jeff Green, ma nel 2010/2011 viene promosso in quintetto. La sua presenza a rimbalzo e le sue innate abilità come stoppatore accelerano ulteriormente l’ascesa dei Thunder, che quell’anno raggiungono le finali di Conference e nel 2012 approdano in finale. Due volte miglior stoppatore NBA, Ibaka viene inserito per tre stagioni consecutive nel primo quintetto All-Defensive, e nel 2014 aiuta OKC a tornare alle Western Conference Finals. L’anno seguente, oltre a quelli di Durant e Westbrook, anche un suo infortunio contribuisce all’esclusione della squadra dai playoff. Nell’estate del 2016, dopo la sconfitta subita in gara-7 per mano degli Warriors, Kevin Durant è a un passo dall’addio. Per cercare di convincerlo a rimanere, la dirigenza acquisisce Victor Oladipo e Domantas Sabonis da Orlando, spedendo ai Magic Ibaka e il suo contratto in scadenza.

Sesto uomo: James Harden

Dopo aver pescato Durant, Westbrook e Ibaka nei due draft precedenti, Sam Presti e soci completano un irripetibile filotto nel 2009, selezionando con la terza chiamata la guardia da Arizona State. Scott Brooks lo fa partire dalla panchina per guidare la second unit con la sua verve realizzativa, e spesso gli fa chiudere le partite in campo, dove Harden si rende prezioso anche in difesa. La crescita costante del numero 13 viene coronata nella stagione 2011/12, quando James viene premiato come Sesto Uomo dell’Anno ed è fondamentale nella corsa alle NBA Finals. In estate, Harden e il suo staff entrano in conflitto con la dirigenza in merito alle cifre dell’estensione contrattuale. Le differenze tra richiesta e offerta si rivelano incolmabili, così, con la opening night ormai alle porte, Harden viene ceduto agli Houston Rockets in una trade destinata a riscrivere la storia del decennio. In Texas, James emergerà tra i migliori giocatori di sempre, mentre nell’Oklahoma rimarrà per sempre il rimpianto per una dinastia mai cominciata.

Allenatore: Scott Brooks (Billy Donovan)

Campione NBA da giocatore nel 1994, con la maglia dei Rockets, Brooks avvia la carriera da assistente allenatore con l’avvento del nuovo millennio. Nel 2007 viene assunto nello staff di PJ Carlesimo, e l’anno dopo segue i Sonics a Oklahoma City. A novembre Carlesimo viene esonerato, e Brooks subentra ad interim, ma la buona risposta della squadra convince il front-office e confermarlo come head coach. Inizia così la sua avventura alla guida di una squadra che si fa presto un nome ai piani alti della Western Conference. Brooks è il timoniere dei migliori Thunder di sempre, capaci di raggiungere tre volte le finali di conference e di giocare la serie per l’anello nel 2012. Tre anni più tardi, la stagione di OKC va a rotoli per via di una lunga serie di infortuni. La mancata qualificazione ai playoff costa la panchina a coach Brooks, che viene sostituito da Billy Donovan. Quest’ultimo disputerà una finale di Conference nel 2016 e porterà sempre la squadra ai playoffs, ma non raggiungerà i picchi del suo predecessore.

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