Se pensiamo allo sport in Brasile, difficilmente ci viene in mente il basket. Immediatamente il pensiero va all’onnipotente calcio, che ha prodotto una letteratura sconfinata, sia in Italia che all’estero.
Poi la pallavolo, che ha visto gli ultimi due ori olimpici maschili verde-oro essere conquistati a spese dell’Italia, allenata nel 2004 da Gian Paolo Montali e nel 2016 da Gianlorenzo “Chicco” Blengini. A seguire il beach volley, la Formula 1 che ancora respira il mito di Ayrton Senna, e via dicendo. La palla a spicchi trova posto nella memoria solo per qualche elemento individuale di particolare rilievo
La gloria passata
Non parliamo comunque di gente sconosciuta. Oscar Schmidt, indimenticabile fromboliere nella Caserta di Boscia Tanjevic, e poi a Pavia e Udine; Ubiratan, lungo alto, atletico e dotato di grande tecnica (come peraltro è nella tradizione locale), spesso citato per il titolo “Ubiratan, minor cessat”, uno dei tanti con cui Aldo Giordani cercava di portare attenzione verso la pallacanestro; Leandrinho Barbosa, razzente esterno esploso sotto Mike D’Antoni ai Phoenix Suns; Anderson Varejão, lungo spigoloso dalla pettinatura afro; Nenê, il “piccolino” (il soprannome significa proprio questo) ma molto atletico centro; Tiago Splitter, centro altissimo e purissimo, citando una nota pubblicità; Marcelinho Huertas, play sfrontato e noto produttore di assisit.

Barbosa in maglia Suns
Gli ultimi cinque citati hanno prima o poi tutti evoluito in NBA, che in tempi, come noto, ha spalancato le proprie porte rispetto all’epoca dei primi due, i quali sono conosciuti dai lettori soprattutto per i loro trascorsi italiani. Fermarsi ai nomi e cognomi però sarebbe un errore non di poco conto, perché la selezione brasiliana ha vissuto un passato davvero ricco di risulti prestigiosi, e di medaglie vinte.
A parte quelle nella FIBA Americas, dove con l’Argentina e Porto Rico è sempre stata l’unica selezione davvero continua, le cronache parlano anche di tre bronzi olimpici (e un quarto posto) ma, soprattutto, di due ori, due argenti e due bronzi mondiali (più anche qui un piazzamento appena sotto al podio). Chiaro, quest’epoca tanto florida ha avuto il suo culmine tra qui anni Sessanta e Settanta, ed ha iniziato a scemare negli anni Ottanta. Non per questo però bisogna abbandonarsi al pensiero che in Brasile abbiano smesso di saper fare basket, come appunto dimostrato dalla quantità di personell mandato negli Stati Uniti a recitare un ruolo da protagonista. In attesa di vedere cosa ne sarà di Caio Pacheco.
Novo Brazil
Non è del tutto inesatto, però, che a un certo punto la stella dei verde-oro ha iniziato a declinare. L’Argentina della “Generaciòn de Oro” è stata una vicina di pianerottolo scomoda, difficile da metabolizzare, specie perché oltre agli Stati Uniti è stata l’unica squadra non europea a portare a casa medaglie nelle competizioni internazionali dal 2000 (ovvero dall’avvento dei ventiquattro secondi e dei quattro tempi) in qua.

Tiago Splitter ai tempi degli Spurs
La generazione dei menzionati Huertas, Barbosa, Splitter, Varejão, così come Alex Garcìa, Raul Neto, Guilherme Giovannoni, Marquinhos Vieira non ha saputo andare oltre i tornei della FIBA Americas, non andando oltre il quinto posto delle Olimpiadi di Londra del 2012. Quando già da due anni sedeva sulla panchina della Seleção Ruben Magnano, quello che nel calcio sarebbe stato considerato una nemesi ma che nel basket, per la portata maggiore delle aspettative, era semplicemente un professionista venuto a risollevare i destini di una nazionale in declino.
E che professionista. Magnano alla guida della selezione della natia Argentina era stato proprio quello che aveva dato il via alla generazione dorata i cui posteri hanno tenuto alta la bandiera anche al Campionato del Mondo FIBA 2019. Allenatore geniale, capace di articolare difese flessibili e attacchi efficaci, la sua saggia gestione ha tenuto viva la luce brasiliana nonostante le varie candele fossero ormai sul viale del tramonto.
Il basket in Brasile: la via europea
Nel 2016, dopo le Olimpiadi casalinghe, Magnano ha salutato. Si è dedicato un po’ ai Trotamundos venezuelani e poi ha accettato la corte di un’altra nobile decaduta del Sud America: l’Uruguay. Nel mentre, dopo essere passato dalle mani di due tecnici locali, il Brasile si è affidato a una inaspettata e tutt’altro che preventivabile via europea. Ha scelto Aza Petrovic.
A essere onesti, non era la prima volta che sulla panchina verde-oro sedeva un allenatore europeo. Era già successo tra il 2008 e il 2010 con Mocho Monsalve. Il coach spagnolo, però, a qualche mese dai Mondiali aveva dovuto abbandonare l’incarico a causa dei problemi di salute. Aveva però fatto in tempo a condurre i suoi alla vittoria nel FIBA Americas del 2009, e nel mentre aveva ricevuto i complimenti da qualche collega internazionale per come aveva migliorato la squadra in durezza mentale e agonismo sul parquet rispetto al predecessore, il veterano Lula (no, non l’ex-presidente, un omonimo).
La scelta di Petrovic però è ulteriormente dirompente perché, al contrario di Monsalve e di Magnano, gli unici due allenatori stranieri che il Brasile abbia avuto, non viene da un mondo neolatino che con il Sud America ha sempre avuto un rapporto stretto. L’ex-ct della Croazia ha subito portato le tradizioni cestistiche slave: difesa che mette spazio tra sé e il tiratore per proteggere il ferro e attacco al rallentatore, che parte dal pick&roll centrale e punta al ferro oppure scarica fuori se l’area è intasata, e ogni tanto si concede qualche giocata spettacolare che è sia nel DNA sudamericano che in quello balcanico.
Petrovic in Cina ha iniziato la sua opera di svecchiamento. Ha concesso l’ultima passerella a molti eroi dell’ultima generazione, e allo stesso tempo ha inserito pedine potenzialmente preziose come Bruno Caboclo, Yago dos Santos e Didi Louzada. Georginho De Paula e Andre Dikembe sono altre due reclute che dovrebbero entrare stabilmente nelle rotazione, e se è vero che uno studio di Deloitte ha indicato come in Brasile il basket sia uno sport destinato a crescere, allora Aza può futuro al futuro con ottimismo.