Da anni ormai si parla di un progressivo calo di ascolti per le emittenti TV tradizionali americane durante la trasmissione delle partite NBA. Questo calo non fa eccezioni per le NBA Finals, tanto meno quest’anno, in cui le due finaliste erano tra le squadre con meno hype della lega. Si possono trovare mille colpevoli e si possono cercare mille soluzioni, ma sicuramente non mettere il logo delle Finals in campo, parlare dei Lakers prima e durante il corso della serie e annunciare la trade Durant lo stesso giorno di gara 7 non ha contribuito a rendere queste Finals più interessanti.
La narrazione riguardo al duello Pacers-Thunder è stato unidirezionale: il pubblico non ha considerato questa serie perché è ignorante e segue solo Lakers, Celtics e Warriors, ma la serie è stata meravigliosa, addirittura una delle migliori della storia. In linea di massima concordo con questa narrativa, ma fino a un certo punto.
Una finale senza stelle
Oltre al fatto che mancassero le squadre più blasonate o che non ci sia attualmente una rivalità capace di attirare anche i tifosi più casual, che potrebbero essere visti come motivi futili per non guardare una serie, è evidente come in queste Finals mancasse talento. Nessuna tra le due finaliste è una corazzata, men che meno Indiana. I Pacers hanno come miglior giocatore Tyrese Haliburton, un 2 volte All-Star Game da 17.3 punti e 8.6 assist di media (ai playoffs), come secondo violino Pascal Siakam, un MIP 2 volte All-Star da 20.5 punti a partita e intorno una serie di giocatori semisconosciuti e rivitalizzati da coach Carlisle. Dall’altra parte questo ha anche contribuito a generare la narrativa della squadra dei miracoli.
Lo stesso discorso vale per OKC, escluso Shai Gilgeous–Alexander, che tra tutti, è l’unico giocatore che non fa strano sentire quando si parla di NBA Finals. Per intenderci, l’anno scorso c’erano Kyrie, Holiday, Doncic, Tatum e Brown, nel 2023 Jokic e Butler, nel 2022 il trio di Golden State, nel 2021 Chris Paul e Giannis; non sto nemmeno a scomodare il decennio di LeBron o le varie rivalità storiche. Ciò che voglio dire è che mancavano giocatori che avessero già uno status tale da attirare l’attenzione. L’unico era Shai, ma è più odiato che amato dal pubblico generalista per la ridicola questione tiri liberi.
Oltre a questo discorso di mancata capacità attrattiva dei giocatori di status, c’è un discorso di livello espresso in campo. A mio avviso i Thunder perderebbero contro la stragrande maggioranza delle vincitrici degli scorsi anni, idem i Pacers ovviamente. Quindi c’è anche un discorso di livello delle giocate e delle prestazioni individuali, che non è stato il tipico livello che ci si aspetterebbe dalle Finals, di nuovo SGA escluso (anche Williams in gara 5).
Quindi forse non è solo per ignoranza che la gente non ha guardato questa serie, ma anche perché lo spettacolo offerto forse non era dei migliori. Ma se le squadre non erano così forti, allora perché la serie è piaciuta così tanto a quei pochi che l’hanno guardata?
Una serie che sembra sceneggiata
Questa serie è stata piena di colpi di scena e di momenti speculari tra le due squadre che sembrano veramente scritti in un copione. Innanzitutto i Pacers, come detto prima, arrivano da underdog, senza aspettative contro una squadra fortissima, di cui tutti parlano da inizio anno, e già così si è creata una contrapposizione molto interessante. Poi c’è subito il colpo di scena di gara 1, in cui Indiana vince allo scadere dopo essere stata sotto tutta la partita; tra l’altro con l’ennesimo tiro decisivo di Haliburton.
Questa partita è speculare a gara 4, in cui OKC vincerà in trasferta con un quarto periodo eccezionale di Shai, che guiderà la rimonta dei suoi. Gara 2 e gara 3 si assomigliano perché entrambe sono partite equilibrate, al contrario di gara 5 e gara 6, che sono state le prestazioni più convincenti prima di OKC e poi di Indiana: sembrava che gara 5 avesse indirizzato la serie, ma poi Indiana ha pareggiato giocando una gara 6 pressoché perfetta. Poi c’è il colpo di scena definitivo in gara 7: ovviamente l’infortunio di Haliburton, che ha rovinato la parabola eroica dei Pacers, rendendo la loro storia una tragedia greca, privando noi pubblico di una partita potenzialmente iconica.
Per questa serie di motivi è difficile che uno si sia annoiato seguendo queste Finals.
Delle Finals per nerd
Il vero motivo per cui queste Finals sono state così apprezzate è solo per i nerd. Innanzitutto queste due squadre sono la dimostrazione di come la NBA moderna premi di più le squadre profonde, giovani e costruite nel tempo, piuttosto che i superteam usa e getta. Entrambe le squadre hanno una rotazione lunghissima, ricca di role player che hanno reso al massimo in un contesto in cui sono stati valorizzati dai rispettivi allenatori.
Daigneault e Carlisle negli ultimi due anni sono stati capaci di migliorare ogni singolo giocatore a roster, trasformando alcuni insospettabili in uomini chiave. Il caso più emblematico è TJ McConnell, 185 cm di demonio cestistico, ma anche Aaron Nesmith era uno scarto dei Celtics, Obi Toppin sembrava un giocatore mediocre ai Knicks, e sulla sponda Thunder metà squadra è al secondo o terzo anno. Vedere questo prototipo di squadra avere la meglio non può far altro che scaldare il cuore.
È bello anche vedere due allenatori così riconoscibili, così impattanti sull’identità di squadra, soprattutto in quest’era in cui i giocatori diventano sempre più influenti. Carlisle ha portato un approccio iper offensivo, votato al ritmo, al contropiede, al gioco di squadra, al movimento senza palla e durante questi playoff anche la fase difensiva è cresciuta parecchio di livello. OKC invece è una difesa senza punti deboli, in cui tutti i giocatori funzionano come “15 marionette controllate da un filo” (cit. Anthony Edwards), mentre in attacco si affida al talento smisurato di SGA e JDub.
La serie è stata interessantissima nei risvolti tattici, nelle mosse e contromosse degli allenatori per provare a mandare fuori giri la squadra avversaria. La difesa dei Thunder organizzata su tre strati, pressione a tutto campo, switch su tutti i blocchi sul perimetro e poi la difesa a sciame dell’area; i ragazzi di coach Daigneualt hanno un’intesa eccezionale e ci hanno fatto vedere dei tripli switch, dei close out chilometrici, dei cambi di marcatura in extremis, degli anticipi in tuffo e tutta una serie di cose che sono balsamo per gli occhi.
Anche Indiana non è stata da meno: si sono viste 8000 difese diverse su Shai, prima show forte sui blocchi, poi cambi, poi drop coverage, poi le difese eroiche di Nembhard, Turner che per tutta la serie ha annullato Holmgren; in attacco abbiamo visto tanti quintetti diversi, tanti giocatori decisivi, tanto gioco senza palla e in definitiva una squadra che ha sempre cercato delle soluzioni per scardinare la muraglia Thunder.
È stata anche una serie priva di polemiche tra giocatori (quelle arbitrali non mancano mai), che sono stati super corretti dall’inizio alla fine e anche dopo alla fine, come testimoniato dalle immagini di Shai che va a parlare con Haliburton negli spogliatoi dopo gara 7.
In definitiva credo che queste Finals ci abbiano offerto del basket di altissimo livello, tanti momenti esaltanti, una serie equilibrata, ma allo stesso tempo non mi dà l’idea di essere una sfida che rimarrà impressa nelle nostre memorie per i prossimi decenni. Per quanto ci possano piacere i tatticismi, i dettagli, la difesa ecc. a tutti noi rimangono addosso le grandi giocate dei grandi giocatori e le Finals in particolare sono fatte apposta per generare momenti di questo tipo, che in questa serie sono stati pochi.