Vracar è un quartiere nel cuore di Belgrado, il quartiere delle ambasciate e dei musei.
Un quartiere che si è risvegliato in lutto all’indomani di quella che per tutti, ormai, è diventata una strage “all’americana”.
C’è chi si mette in fila per donare il sangue, chi per deporre un fiore, chi per accendere una candela davanti alla scuola elementare Vladislav Ribnikar, teatro di questo orrore, che resterà chiusa fino a lunedì.
Infatti, è proprio qui che ieri il tredicenne Kosta Kecmanovic ha sparato, poco dopo il suono della campanella (alle 8.40 circa del mattino), per la precisione in una classe di storia.
Nove le vittime in totale, di cui sette ragazzine. Otto i compagni uccisi, a cui aggiungere anche il guardiano della scuola Drahan Vlahovic, amato da studenti e professori, amico del giovane killer, che lo ha ucciso solo per aver tentato di fermare la strage.
In tarda mattinata, il capo del quartiere di Vracar, Milan Nedeljkovic, ha dichiarato che diversi studenti e insegnanti erano rimasti feriti dopo aver saputo della morte della guardia scolastica.
”Voleva impedire questa tragedia ed è morto” ha raccontato. “Il dramma sarebbe stato probabilmente peggiore se non si fosse messo di fronte al ragazzo che stava sparando”.
Sette gli altri feriti, alcuni in ospedale a lottare tra la vita e la morte, tra cui una professoressa di storia.
Dopo la strage, il ragazzo è stato poi bloccato dalle forze dell’ordine, nel cortile della scuola.
Allievo al settimo anno della scuola primaria, studioso e introverso, studiava alla Vladislav Ribnikar da pochi mesi e, da qualche giorno, aveva preso un’irrituale insufficienza in storia.
Fan della serie TV americana “The Purge” (ambientata in un’America in cui l’omicidio è legale), postava spesso sui social citazioni di quello show.
Aveva nella borsa una pistola da 9mm, un’altra di piccolo calibro e una bottiglia molotov. A quanto pare, Kosta era abituato a sparare, ed ha saputo prendere benissimo la mira al petto o alla testa delle vittime. Una mira allenata con regolarità al poligono e a caccia, in compagnia del padre, che spesso lo portava con sé.
Secondo quanto riportato dai media serbi, il giovane sarebbe stato vittima di maltrattamenti da parte di alcuni compagni di scuola, e aveva pianificato il gesto da almeno un mese.
Secondo il capo della polizia di Belgrado, Veselin Milic, Kosta possedeva una piantina della scuola e, ancora più agghiacciante, una lista di compagni da liquidare, tra cui la ragazzina di cui era innamorato.
Astrid Merlini, la mamma di una bimba che ha assistito alla sparatoria, ha fornito una testimonianza diretta dei fatti. La donna ha riferito che la figlia aveva pensato ai fuochi d’artificio ma poi, vedendo la guardia di sicurezza collassare a seguito dei colpi di pistola, è subito corsa in classe. Sarebbe stata proprio lei a dire ad un insegnante cosa stava succedendo.
“Il docente ha subito messo al riparo i bambini, chiudendoli dentro la classe” dichiara la madre. Molti altri alunni si sono invece rifugiati sotto i banchi.
Ma ad aver chiamato la polizia è stato lo stesso artefice della strage. “Mi chiamo Kosta Kecmanovic, sono a scuola e ho ucciso delle persone. Venite”.
Kosta non ha ancora compiuto 14 anni, di conseguenza non sarà perseguibile. A causa della legge nazionale, la sua giovane età non lo permette. Finito l’interrogatorio, in presenza dei genitori, potrà essere rilasciato e riportato a casa.
Il presidente serbo Aleksandar Vucic, però, sembra non essere d’accordo con questa soluzione. Per sua volontà, ieri il killer è stato accompagnato nel dipartimento speciale di una clinica psichiatrica, dove non ha dato segni di rimorso e dove è risultato negativo ai test tossicologici.
Al padre del killer, Vladimir Kecmanovic (radiologo di 48 anni), ora agli arresti, appartenevano le armi, regolarmente registrate, che teneva in una cassaforte, di cui suo figlio conosceva la combinazione.
Il ministro serbo dell’Interno, Bratislav Gasic, ha dichiarato che saranno adottate misure legali anche nei suoi confronti.
“Il padre di colui che ha commesso questo crimine è stato arrestato. Entrambe le pistole usate dall’assassino risultano legalmente possedute dal padre” ha spiegato in conferenza stampa.
In custodia cautelare anche la madre del ragazzino, ma non sono ancora noti i motivi del fermo. Venerdì, l’appuntamento con il giudice.
Il presidente serbo ha poi dichiarato in conferenza stampa che proporrà alcuni cambiamenti riguardo l’età della responsabilità penale, abbassandola dai 14 ai 12 anni.
Vucic ha anche promesso di introdurre una serie di misure, volte a regolamentare meglio le armi, tra cui l’istituzione di una moratoria sulle nuove licenze, diverse da quelle per la caccia. Tra le altre proposte, una revisione dei permessi esistenti e anche una maggiore sorveglianza nei poligoni di tiro.
Il governo serbo ha proclamato 3 giorni di lutto nazionale (dal 7 al 10 maggio), secondo quanto riportato dal ministro dell’educazione filorusso Branko Ruzik, nel corso di una conferenza stampa in cui ha scaricato la colpa della strage sull’influenza dei videogiochi.
E, purtroppo, sembrano dargli ragione alcuni commenti arrivati sui social, pubblicati dagli amici di Kosta. “Un re”, scrive uno su Instagram. “Strike!”, digita un altro su TikTok. “In arrivo una strage simile”, promette poi un ragazzino della stessa città.
E, di male in peggio, ieri la scuola Desanka Maksimovic (sempre di Belgrado), ha chiamato la polizia perché un alunno di 9 anni, già definito “problematico”, si sarebbe presentato in classe con una lista di compagni che vuole ammazzare.
Tra le vittime della sparatoria anche Emilija Kobiljski, figlia del giocatore di pallavolo Dragan Kobiljski.
Tra i genitori accorsi a recuperare i figli, anche il giocatore di basket Duško Savanović (ex giocatore della Dinamo Sassari), e il conduttore televisivo Zoran Kesić.
“Non so cosa dire. E’ terribile, sono molto arrabbiato” ha detto quest’ultimo, aggiungendo che i genitori dei bambini sono molto spaventati e si sono riuniti vicino alla scuola. “Non so esattamente cosa sia successo, non sono informato. Vedo solo che i genitori si sono riuniti, spaventati. I bambini escono da scuola piangendo, gli insegnanti sono sconvolti. È davvero terribile”.
Ennesima sparatoria scolastica: un problema di cui non ci libereremo facilmente
Quanto successo a Belgrado ha riacceso polemiche e dibattiti sull’intensificarsi di atti di violenza nelle scuole serbe, legati alla crescente circolazione di sostanze stupefacenti e al verificarsi di episodi sempre più frequenti di molestie sessuali.
La sparatoria ha sollevato domande più ampie sul possesso di armi da fuoco in Serbia, che ha uno dei più alti tassi di possesso di armi al mondo (pari a circa 39 pistole ogni 100 persone, terza in Europa), un’eredità delle guerre balcaniche degli anni ’90.
Le sparatorie scolastiche rappresentano un fenomeno sempre più diffuso al giorno d’oggi, anche al di fuori degli Stati Uniti.
Solo nel 5% dei casi l’assassino è affetto da un disturbo mentale. Per il resto, si osservano invece altri fattori scatenanti. Abuso fisico o psicologico, abbandono familiare, bullismo scolastico, precedenti penali in famiglia. E, soprattutto, la facilità con cui accedere alle armi.
Ma, dietro il fenomeno delle sparatorie scolastiche, c’è qualcosa di più profondo, che va oltre il facile accesso alle armi, e coinvolge tutti gli organismi sociali della società.
Il numero di stragi cresce sempre di più. E non è un caso.
La risposta comune alle sparatorie di massa è la solita polemica sulla libera circolazione delle armi.
Ma è una visione riduttiva. Perché, negli autori di queste carneficine emerge una profonda disperazione, che li spinge a dare e cercare la morte.
Lasciamo stare il fatto che il possesso delle armi in alcuni paesi affonda le proprie radici nella storia e nelle guerre che ha affrontato. Perché ci sono altri dati, relativi alla diffusione e all’uso delle armi, che fanno dubitare che questa sia la vera causa del problema.
Ad esempio, secondo un rapporto dell’FBI (citato dalla BBC), il fatto che dall’inizio della pandemia siano raddoppiati gli attacchi armati, smentisce una relazione diretta tra la disponibilità di armi e le sparatorie di massa, in quanto, nello stesso periodo di tempo, le armi non sono raddoppiate.
E’ innegabile che avere armi a disposizione renda più facile l’azione di chi ha deciso di scaricare sugli innocenti la propria rabbia. Ma sarebbe un fattore decisivo se tali stragi fossero una reazione immediata ad un presunto torto subito.
Invece, le sparatorie di massa sono stragi preparate per giorni, settimane, mesi, addirittura annunciate sui social.
Vuol dire che, chi ha queste intenzioni, ha tutto il tempo di procurarsi le armi necessarie.
Dunque cosa spinge ad atti così tremendi?
Non possiamo pretendere di avere una risposta esaustiva, ma possiamo notare alcuni fattori comuni a tutte queste sparatorie di massa.
Nel 2000 è stato infatti elaborato un profilo psicologico, per cercare di comprendere meglio l’architettura mentale di questi giovani assassini.
Per prima cosa, gli attacchi sono minuziosamente premeditati. Non sono casuali, né il risultato di un momento di alienazione mentale.
L’80% dei killer ha subito episodi di bullismo scolastico, ha alle spalle un passato fatto di maltrattamenti, persecuzione e abuso emotivo, generato dall’ambiente scolastico. Ambiente in cui sentono di aver subito delle ingiustizie, hanno accumulato frustrazioni, si sono scoperti dei falliti.
Il 95% delle stragi è opera di persone che non hanno disturbi mentali.
Nel 100% dei casi, esiste un marcato interesse per le armi, che i killer manifestano apertamente tramite i social.
Gli stimoli violenti, insieme allo stress ambientale, portano a freddezza emotiva. Di conseguenza, il massacro è visto come una via di fuga gratificante.
Altro fattore: tutti gli assassini avevano situazioni familiari complicate. Genitori separati, assenti, storie di abusi.
Mettere sotto controllo le armi, impedire che possano andare in mano a persone già segnalate come “affette da disturbi mentali”, possono prevenire manifestazioni estreme, può aiutare a limitare i danni, ma è pur sempre un intervento sui sintomi.
Quello che è necessario è invece comprendere qual è l’origine di questo male. Ed è su questo che si dovrebbe riflettere.
Luka Doncic si infuria: “Ho il cuore spezzato”. Poi, la scelta di pagare i funerali
Il padre di Luka Doncic, Sasha, è originario della Serbia.
Una nonna, una zia, uno zio e un cugino adolescente del giocatore, vivono proprio nella zona di Belgrado in cui è avvenuta la sparatoria.
Era quindi inevitabile che la stella dei Dallas Mavericks si sentisse particolarmente giù, a seguito di quanto successo.
“Sono affranto dalla tragica sparatoria di una scuola in Serbia, e dalla perdita di vite umane, comprese quelle di bambini innocenti” ha dichiarato Luka in un comunicato. “I miei pensieri sono rivolti alle famiglie e all’intera comunità colpita da questa tragedia”.
Dopo la sparatoria Luka si è impegnato a pagare i funerali delle vittime, e di dare una mano per quanto riguarda l’assistenza al lutto dei bambini e del personale della scuola, come ha dichiarato lui stesso ad ESPN.
Il 24enne ha concluso la sua dichiarazione sostenendo che “sono impegnato e continuerò a condividere aggiornamenti non appena i dettagli saranno disponibili”.
Non è la prima volta che Doncic offre sostegno alle scuole dopo una sparatoria di massa. Ad esempio, prima della partita del giorno di Natale contro i Los Angeles Lakers, la guardia dei Mavs ha infatti trascorso del tempo con due sopravvissuti alla sparatoria nella scuola di Uvalde.
Doncic ha anche intenzione di chiedere l’aiuto dei suoi colleghi in NBA, per aiutare le famiglie e i membri del personale della scuola serba.
“Attraverso la mia fondazione, sto esplorando vari modi per sostenere gli studenti, i docenti e le famiglie colpite dalla sparatoria alla scuola elementare Vladislav Ribnikar. Mi sto impegnando moltissimo”.