Una nuova inchiesta di Baxter Holmes di ESPN rischia di allargare il campo dei dirigenti coinvolti nella vicenda di discriminazioni, abusi, sessimo e mobbing sul luogo di lavoro che a settembre aveva travolto i Phoenix Suns e il proprietario Robert Sarver.
Sarver, owner di Suns e Phoenix Mercury dal 2004, era stato riconosciuto responsabile dalla NBA dopo un’indagine indipendente durata mesi, di aver instaurato negli uffici dei Suns per anni un clima tossico, e denunciato in forma anonima in svariati episodi da ex dipendenti e attuali in quello che, alla luce delle novità emerse oggi, pare essere solo il primo tempo dell’inchiesta. Sarver era stato sospeso dalla NBA per un anno con una multa di 10 milioni di dollari dalla carica di governor, di rappresentante delle due squadre, e dopo giorni di pressioni mediatiche, del sindacato dei giocatori e degli sponsor, aveva accettato di mettere in vendita Suns e Mercury.
Oggi un nuovo report di ESPN ha raccolto le testimonianze e le denunce di ex dipendenti e dipententi attuali dei Suns, che chiamano in causa altri alti dirigenti della squadra “per aver perpetrato per anni” il clima instaurato da Sarver, e non aver preso le dovute misure per correre ai ripari se non dopo l’esplosione del caso tra il novembre 2021 e il settembre 2022.
Tra i responsabili principali indicati dalle testimonianze c’è Jason Rowley, presidente e CEO dei Phoenix Suns e riconosciuto come “uomo di fiducia” di lunga data di Robert Sarver. Rowley lavora per i Suns dal 2007 e dal 2012 ricopre la carica di team president, e le testimonianze raccolte da ESPN lo individuano come tra i responsabili maggiori delle stesse condotte – abusi verbali, mobbing – attribuite a Sarver. Tra le accuse, abusi verbali a dipendenti, discriminazione verso alcune dipendenti incinte e in maternità, e “comportamenti intimidatori e vendicativi“.
“Robert Sarver ha creato una certa cultura, ma i dirigenti l’hanno portata avanti“, è la summa dell’inchiesta pubblicata lunedì sera dal network USA.
Tra i passaggi più importanti, oltre ai racconti e testimonianze di diversi dipendenti, ci sono i dettami imposti da Sarver durante il periodo di transizione del prossimo passaggio di proprietà, “a protezione” delle figure dirigenziali chiave del CEO Jason Rowley, del CFO Jim Pitman e del CRO Dan Costello, “che non potranno essere in nessun momento rimossi” senza l’ok dell’attuale proprietario della squadra.
E Rowley, Costello e Pitman sono indicati nel report come tra i responsabili del clima tossico di cui Sarver è stato riconosciuto quale “ispiratore”.
Nell’inchiesta, i primi comportamenti vessatori imputati a Rowley risalgono già al 2013 al momento di una ristrutturazione delle modalità di comunicazione all’ufficio delle Risorse Umane. Urla, minacce, tirate in pubblico e discriminazione in particolare verso una ex dipendente all’epoca incinta, la quale si sarebbe prima vista accordare solo tra mille difficoltà un periodo di maternità, e poi sarebbe stata licenziata dopo che la sua posizione era stata cancellata dall’organico del team legale in cui era impiegata.
Nel 2015 vittima di un nuovo attacco sarebbe stata un’altra dipendente, che aveva avuto l’incarico di organizzare una cena di lavoro per i dirigenti in un ristorante di Phoenix. A seguito di un disguido, di cui la dipendente fu ritenuta responsabile, Rowley l’avrebbe “assalita verbalmente” senza preoccuparsi di stabilire cosa fosse successo.
Sempre nel report di ESPN si legge di come Jason Rowley abbia in diverse occasioni in passato tentato di approfittare della sua posizione di vertice per accedere all’arena dei Suns in occasione di concerti e eventi slegati alla squadra senza pagare e senza credenziali, arrivando a minacciare gli inservienti agli ingressi di licenziamenti e “vendette”. In almeno un’occasione, risalente al 2020, Rowley avrebbe chiesto via email al responsabile di licenziare l’addetto che aveva chiesto a lui e alla moglie di esibire il badge di riconoscimento per l’accesso a un’area riservata.
Un incidente del 2019 metterebbe invece in una posizione difficile altri dirigenti dei Suns. Una ex dipendente aveva denunciato all’epoca le molestie sessuali subite dal rappresentante di un importante sponsor, durante un viaggio di lavoro a Città del Messico. La donna aveva immediatamente riportato i fatti a due executive presenti al momento delle molestie, e una seconda volta circa un mese più tardi ad altri tre dirigenti, “senza che nessuna azione fosse intrapresa” nei confronti del rappresentante, che aveva continuato come nulla fosse a partecipare a eventi, anche in presenza della donna.
L’unica azione adottata sarebbe stata “una richiesta di scuse“, con la motivazione interna di non voler creare un caso con uno sponsor all’epoca considerato fondamentale. Oggi, sempre secondo le testimonianze, il rappresentante sarebbe ancora “nella lista VIP” dei Suns per eventi e occasioni, e “ben 7 dirigenti” sarebbero stati a conoscenza delle molestie, senza agire.
Nel rispondere alle testimonianze sull’inciente del 2019 a Città del Messico, i Phoenix Suns hanno riconosciuto “di non aver fatto abbastanza” all’epoca in risposta all’episodio, spiegando che le considerazioni finanziarie per il bene dell’organizzazione “non possono giustificare” tale condotta. “Avremo dovuto mettere in atto misure di tutela più efficaci in risposta alle accuse“, hanno replicato i Suns citando poi “i notevoli progressi” compiti da allora nelle politiche aziendali da allora.
Tra i vari campi in cui la dirigenza dei Phoenix Suns avrebbe dimostrato scarsa attenzione alla tutela delle dipendenti e dei dipendenti, vi sarebbe la politica delle agevolazioni aziendali per le lavoratrici incinte, che si sarebbero viste più volte messe davanti alla scelta tra il posto di lavoro e la famiglia. In almeno un’occasione, nel 2014, il CFO Costello e un altro dirigente “si sarebbero rifiutati” di garantire a una dipendente un periodo di maternità, esigendo “certificati medici” per la richiesta di ore libere. Pochi mesi dopo, l’ormai ex dipendente sarebbe stata demansionata, prima di decidere di lasciare il posto.
Una seconda ex dipendente, tra 2019 e 2021, ha raccontato di come rimasta incinta si fosse vista negare un periodo pagato di maternità perché la squadra “non ne prevedeva uno (…) Robert Sarver non crede in queste cose“. Elemento negato dallo stesso Sarver nel report di ESPN.
La dipendente si era informata all’epoca sulle politiche delle altre square NBA in materia di maternità, e presentato ai Suns tali informazioni, di nuovo senza esito. Inoltre, a seguito di un parto prematuro, il responsabile della dipendente le avrebbe chiesto di lavorare dall’ospedale dove il figlio neonato era ricoverato, e la donna si era vista costretta a ricorrere a una richiesta di invalidità temporanea, nonostante le insistenze del dirigente.
Nel 2022, come riportato da ESPN che cita il team legale dei Phoenix Suns, la franchigia si è dotata di una Paid Family Leave Policy, anche in risposta alle numerose testimonianze, molte delle quali già incluse nel rapporto dello studio legale incaricato dalla NBA di indagare sul caso Sarver, e che ha portato alla sua sospensione.
“Negli ultimi 18 anni ci sono stati esempi in cui Sarver, i nostri responsabili e dirigenti non hanno saputo soddisfare le esigenze dei nostri dipendenti, della NBA e della nostra comunità. Non è accettabile e abbiamo preso delle misure, fatto dei cambiamenti“, così la franchigia, che poi assicura che “ogni dirigente ancora in organico dovrà essere più responsabile delle proprie azioni e condotte, e migliorare, anche questo è un punto non negoziabile“.