Parafrasando Jack Nicholson: “Non ho bisogno di scrivere le mie memorie… le mie partite sono una lunga autobiografia.”
Cosi potrebbe iniziare il suo libro Steph Curry, il quale ha fatto sapere che prima o poi scriverà una autobiografia sulla sua vita e carriera.
La vicinanza al mondo letterario da parte del numero 30 dei Golden State Warriors è cresciuta durante la pandemia di covid-19. “Ho visto tutti i libri che sono stati scritti su di me, il che è un po’ ‘surreale”, ha detto Curry. “L’unico che ho letto è ‘Golden’ di Marcus Thompson. È un’esperienza piuttosto strana leggere di te da qualcuno che ha fatto i compiti. Alla fine, ne scriverò uno su me stesso e parlerò di tutta la follia dei successi in campo e fuori.”
Curry sta collaborando con la piattaforma “Literati” per il suo club del libro. Con un costo di 20 dollari al mese si può ricevere l’edizione cartacea di un libro e l’accesso a gruppi di discussione online moderati da Steph o altre celebrità.
From NBA MVP to Pulitzer Prize?
— Warriors on NBCS (@NBCSWarriors) October 19, 2020
Steph Curry says he'll write a book about his life one day https://t.co/uXr1b5Zc71 pic.twitter.com/CFEkgGPx1V
Una carriera incisa nella storia
Di cose da dire nel suo prossimo libro ce ne saranno a migliaia, d’altronde stiamo parlando di uno dei giocatori più forti della storia.
Il ragazzo condivide la stessa città natia di LeBron James, Akron, ma poi cresciuto a Charlotte dove giocava papà Dell per gli Hornets. Dopo i due anni al college a Davidson in North Carolina, si rende eleggibile per il draft NBA 2009. Viene scelto dai Golden State Warriors con la scelta numero 7 al draft. Quella chiamata risultò probabilmente la più azzeccata di quell’anno, soprattutto guardando ciò che ha rappresentato per la franchigia californiana.
Steph Curry ha saputo sfruttare e massimizzare le sue eccezionali doti e talenti, tra cui coordinazione, velocità, lavoro di piedi, movimento orizzontale sul campo e la sua assoluta precisione diventando un giocatore di élite in una lega di superuomini.
Un giocatore che fonda il suo gioco nel movimento con e senza palla, diventando uno dei giocatori più efficienti per distanza percorsa, utilizzando continui cambi di direzione e movimenti tra i blocchi.
Il tiro di Steph Curry
Ma forse la cosa che ci fa innamorare di più di Steph e che lo ha immortalato tra i grandi è il suo tiro. Conosciuto come uno dei migliori tiratori della storia, se non il migliore, ha costruito la meccanica di tiro apposta per lui. Un tiro che parte dal basso per poter dare più forza alla palla, un tiro in elevazione e non in sospensione. La meccanica di tiro di Curry è stata costruita per far fronte alla mancanza di forza e fisico adatto che lo ha caratterizzato durante l’high school e il college. Questo tiro risulta però facilmente stoppabile partendo dal basso, ed è per questo che Curry è diventato “la pistola più veloce del west”. Una frazione di secondo che finisce con la retina che si muove e il difensore battuto.
Ma lo splash brother deve fare i conti anche con il suo “tallone d’Achille”, il suo più grande punto debole: la fragilità. Questo purtroppo, o per fortuna, se la vediamo dalla prospettiva Warriors, lo ha reso non appetibile per le prime scelte al draft.
I primi anni della sua carriera NBA sembrano dar ragione ai detrattori, il suo fisico non sembra reggere. Troppi infortuni e caviglie troppo fragili, basta considerare che dalla sua prima apparizione sul parquet NBA, Curry si è girato la caviglia ben 17 volte. Infortuni che non gli hanno dato tregua anche nella stagione appena conclusa, con la rottura della mano che lo ha tenuto fuori per gran parte della stagione.
Gli anni della consacrazione di Steph Curry
Ciò che non mancherà sicuramente nella sua autobiografia sono gli anni del back to back MVP 2014-2015 e 2015-2016 ottenuto per la prima volta nella storia all’unanimità e dei tre titoli NBA 2015-2017-2018. Eppure i capitoli importanti della sua storia cestistica iniziarono qualche anno prima della vetta.
Quegli anni magici che hanno preceduto e creato una vera e propria dinastia, gli anni di coach Jackson e l’arrivo del visionario ex Bulls Steve Kerr, delle cattive scelte al draft e della separazione con Monta Ellis.
La dinastia degli Warriors si fonda e nasce infatti con Steph, difficile infatti pensare Curry senza la maglia dei Dubs e la maglia Warriors senza il nome cucito di Steph Curry.
Un team costruito per lui e con lui, con l’aggiunta di Thompson e Green formarono una bellissima squadra capace di stabilire il record dell 73-9 e con l’approdo di Kevin Durant successivamente diventato davvero La Gioconda della lega, il capolavoro di un front office.
Una chimica e alchimia che hanno reso quella squadra un prodotto e una macchina perfetta.
Una squadra che abbiamo avuto il privilegio di veder nascere, crescere e dominare, costruita su un giocatore che abbiamo potuto ammirare e amare.
Un leader altruista, che ha saputo portare il suo gioco a livelli inimmaginabili, determinate per tutte le vittorie Warriors e, anche se non ha mai vinto l’MVP delle finali, è davvero impossibile pensare ai degli Warriors vincenti senza il loro numero 30.
Ora che si appresta a giocare la sua 12esima stagione NBA non ci resta che restare a guardare la storia che scorre davanti a noi, il presente che verrà raccontato alle generazioni future. Un esempio di come diventare parte di un gioco, un esempio di come diventare simbolo di esso, un esempio di come diventare immortali.
Al secolo, Wardell Stephen Curry