La NBA non è più quella di una volta. È un’affermazione che sentiamo troppo spesso, ma non possiamo dire che non sia vera. Specialmente se prendiamo in considerazione la totale mancanza nel basket odierno di quelle rivalità che hanno segnato la lega per più di trent’anni. Niente più Bird contro Magic, Jordan contro i Bad Boys, Lakers contro Celtics. In una recente puntata del podcast di JJ Redick, la stella dei Suns Devin Booker ha provato ha dare una sua spiegazione su questa scomparsa.
“Ormai tra noi ragazzi ci conosciamo fin da giovani e penso che la gente si renda conto che la metà delle volte non ne vale la pena di litigare in campo. Nessuno vuole pagare mezzo milione di dollari di multa ogni volta. Raramente ho sentito di giocatori che hanno superato il limite in campo, e anche quando è successo le persone coinvolte hanno gestito la cosa in un secondo momento nella maniera corretta”.
Il “problema” quindi è che i giocatori ormai tendono a distinguere nettamente i propri rapporti in campo da quelli lontano dal parquet, dove generalmente regna un rispetto reciproco.
Devin Booker e “L’arte del trashtalking”
Nonostante le rivalità nella lega stiano scomparendo, Booker cerca di tenere accesa la fiamma della competizione con il trashtalking. Come ammesso infatti dallo stesso giocatore, in campo tende a non farsi troppi problemi a provocare a parole i suoi avversari.
“Che tu ci creda o no, di solito non inizio per primo. Ma tutto quello che di cui ho bisogno è sentire una piccola cosa e parto”, ha detto Devin.
Booker è solo uno dei tanti che, nel tempo, hanno fatto del trashtalking un’arma in più in campo. Ma come aggiunto dal giocatore stesso, è un concetto che spesso ha radici più profonde del semplice campo da basket.
“Non so da dove provenga”, ha detto Booker. “Ho iniziato a farlo da piccolo. Il trashtalking è uno stile di vita. Negli ambienti in cui sono cresciuto è una cosa normale. Lo faccio da quando ero piccolo, in tutto quello che facevo. Non solo nel basket. C’è un’arte dietro a ciò.”