Kyrie Irving ha definito la sua vita negli ultimi mesi, quelli dell’esilio auto-impostosi dal Barclays Center di Brooklyn dopo la sua decisione di non vaccinarsi contro il Covid, come “quella di un martire“, ma “di non avere problemi” con questo.
La star dei Brooklyn Nets è stata l’ospite dell’ultimo episodio di The ETC Podcast, prodotto dal compagno di squadra e amico Kevin Durant e condotto per l’occasione da Eddie Gonzalez. In un’ora di chiacchierata, Irving ha parlato della stagione dei suoi Nets e della sua annata così particolare.
“Ammetto che non mi aspettavo che (la città di New York, ndr) introducesse degli obblighi così importanti, che non mi avrebbero permesso di giocare. Certo, avevo la possibilità di giocare in trasferta ma non avevamo alcun piano, nessuna idea di come avrebbe funzionato con la squadra. E questo ha avuto un impatto non solo su di me ma su tante altre persone. Io ho dovuto stare per un po’ sulla graticola, insomma. La vita del martire, diciamo“.
Irving ha sempre e legittimamente sostenuto la sua decisione di non vaccinarsi, pur consapevole delle conseguenze dettate dalle restrizioni anti Covid: “A volte la sensazione di aver deluso i miei compagni, di averli lasciati soli, si è fatta avanti, non mi aspettavo tutto questo (…) sento che gran parte delle persone non abbia davvero capito quale fosse la mia posizione sul non vaccinarmi. Mi è stato posto una sorta di ultimatum, o ti vaccini o non puoi lavorare, e lo stesso è stato fatto con tante altre persone. E allora te ne devi stare a casa ad ascoltare altri raccontare str****e sulla tua decisione, che tu solo hai preso. Ma io sapevo di aver fatto la cosa giusta per me, ed è una posizione che devo rispettare“.
“Una gran parte di noi (chi ha deciso di non vaccinarsi, ndr) è stata dipinta come no-vax, cospirazionisti (…) ma quello che ho sempre inteso io è che si tratta di essere umani, e di avere il diritto di fare una scelta personale. io rispetto tutti e prego affinché tutti possano rispettare me allo stesso modo, Ma il grande gioco in cui sono dentro ha le sue regole particolari, per cui…“.
Kyrie Irving era stato sospeso dai Nets a ottobre perché da non vaccinato non avrebbe potuto, come noto, giocare le partite casalinghe a Brooklyn nonché in Canada a Toronto e a New York al Madison Square Garden. I Nets avevano deciso di non potersi permettere di schierare un giocatore “part time”, salvo poi fare marcia indietro a gennaio, reintegrando per le sole partite in trasferta l’ex giocatore di Cavs e Celtics. La città di New York aveva infine revocato le restrizioni anti Covid e l’obbligo vaccinale per i lavoratori dipendenti (come i giocatori NBA) da metà marzo, e Kyrie Irving aveva potuto finalmente tornare in campo anche al Barclays Center, in tempo per le ultime partite di stagione regolare e per la post-season.
Durante i quasi 4 mesi di auto-esclusione, Irving ha raccontato di aver temuto di essere ceduto via trade, o addirittura tagliato dai Nets. E anche una volta tornato in campo part-time da gennaio, “non mi sono mai sentito come se fossi davvero tornato (…) ricordo che me ne stavo a casa e ogni tanto vagavo con la mente e mi chiedevo cosa sarebbe successo… se mi avrebbero ceduto, o rilasciato o altro. Mi dicevo che, nel caso, sarebbe stata l’occasione per un’opportunità in una nuova squadra, cercavo di metterla così. E quando sono tornato in campo, mi mancava tutto quello che gli altri avevano vissuto da ottobre a gennaio, tutta quella parte, e ho dovuto recuperare in fretta“.