L’immagine della maglia accostata al giocatore è uno dei motivi principali con i quali le scelgo, perché hanno creato i miei ricordi e, anche se il giocatore ha indossato o ha vinto con maglie diverse, per me l’immagine rimarrà una ed una soltanto, in questo caso quella di “Sir” Charles Barkley.
Episodio 2 – “Sir” Charles Barkley
“Ciccione!” Era il termine per definire il giovane Chuck, all’anagrafe Charles Wade Barkley.
Si, perché il ragazzotto timido e maturo cresciuto a Leeds, Alabama, senza un padre e con una madre che faceva due lavori per mantenere i suoi tre figli, era alto 180cm e arrivava al quintale di peso. Fino all’estate dell’ ultimo anno di high school, quando crebbe di 15 centimetri ed entrò a far parte del quintetto della scuola. In rapporto all’altezza crebbe anche il peso e quando all’università di Auburn, a due passi da Leeds, raggiunse i 140 kg, coach Sonny Smith glielo faceva notare senza giri di parole.
In effetti, ordinare la pizza mentre era in panchina durante un match non dava molte scuse a quel ragazzone.
La cosa che stupiva tutti era che, nonostante la mole, Charles Barkley andava come il vento e a rimbalzo era il dominatore. “Round Mound of Rebound” l’ammasso rotondo del rimbalzo. Questo nuovo personaggio che veniva formandosi, formò anche un nuovo carattere.
Il Barkley schivo iniziava a sentirsi sempre a suo agio sotto i riflettori e il Barkley silenzioso iniziò a parlare per non smetterla più.
Capitolo 1: Charles Barkley, the Round Mound of Rebound
Al draft NBA 1984 viene preso come quinta scelta assoluta dai Philadelphia 76ers, entrando a far parte di una squadra niente male, con Julius Erving e Moses Malone su tutti, squadra che aveva vinto il titolo l’anno precedente.
Charles ha proprio Malone come mentore, che gli farà capire quanto conta il duro lavoro soprattutto adesso che gioca fra i professionisti, il ragazzo è intelligente e il suo animo ribelle non può avere il sopravvento sulla sua voglia di vincere; una necessita, un’ossessione.
A Phila sta 8 anni in cui consegue una doppia doppia di media, è tra i più forti della lega. Arriva una volta alle finali di conference, ma ha attorno a sé una squadra che non lo segue e nell’ultimo anno la sua sincerità sarà un arma a doppio taglio come spesso gli è capitato. “Abbiamo una brutta squadra”, dirà ad un giornalista dopo una pesante sconfitta e tutto l’ambiente, da cui era adorato, gli si ritorce contro e con il suo tipo carattere la situazione non fa altro che infiammarsi.
1992, ed è ora di cambiare aria. Quell’estate fece da spartiacque l’avventura, che avremo tempo di raccontare meglio, del Dream Team in cui Charles in mezzo a degli Dei del basket non sfigurava per niente anzi, fu il top scorer di quella nazionale.
Ma a Barcellona tutto il mondo iniziò a conoscere quel personaggio con la battuta pronta e la cruda onestà, che teneva banco ad in ogni situazione.
Capitolo 2: That Jersey
Un leader è leader ovunque, anche se a modo suo e in una Phoenix conservatrice il suo modo non può cambiare, non sarebbe Sir Charles altrimenti. Fa capire subito ai suoi compagni di squadra che avrebbero avuto un obiettivo in comune e nasce la squadra del destino. Destino che, come sappiamo, non porterà al titolo, ma renderà comunque immortale un team e una maglia.
Per far capire che cosa è stato Charles Barkley con questa maglia addosso potrei raccontarvi della stagione 1992\93 dove è stato nominato MVP della regular Season. Dove, dopo una battaglia epica contro David Robinson, segna il tiro della vittoria a San Antonio. Oppure i 44 punti e i 24 rimbalzi contro Seattle, o, ovviamente, le finali contro i Chicago Bulls che erano andati in vantaggio per 2-0 a Phoenix e che era quasi riuscito a ribaltare riportando la serie in casa, ma avendo purtroppo di fronte il più forte di tutti i tempi.
C’è un momento su tutti però, che mostra la voglia di vincere e l’attaccamento alla maglia di Charles, l’anno successivo. I Suns rincorrono ancora il sogno dell’anello, ma Barkley inizia a sentire quei problemi fisici che gli faranno finire la carriera in anticipo. Nel primo turno dei playoffs i Suns incontrano i Golden State Warriors di Chris Mullin e del Rookie of the Year Chris Webber. Sono sopra 2-0 e in quel periodo il primo turno si giocava al meglio delle 3 partite.
Charles prima del match non sta bene al punto da pensare al ritiro… eh già… dopo i primi due punti passa davanti alla panchina di Don Nelson consigliandogli di raddoppiare su di lui.
Nelson non lo farà e a fine gara dirà “Nessuno pensava che mettesse tutti i tiri. Ha giocato una delle partite più incredibili che abbia mai visto, da giocatore e a da coach” e Don Nelson ne ha viste tante di partite. Tira fuori una prestazione da 56 punti, 23 su 31 dal campo, la terza miglior prestazione nei playoffs nella storia NBA dietro a Jordan ed Elgin Baylor.
Ci ha preso in giro come sempre, dicendo la verità.
Capitolo 3: “I may be wrong, but I doubt it”
Dopo i Suns va a Houston, la sua ultima occasione, ma quel tipo di destino tanto acclamato da lui stesso non arriverà mai. La squadra è forte, ma ha raggiunto l’apice prima dell’arrivo di Charles, questo è il suo destino.
Chi sia stato Sir Charles Barkley si sintetizzata nella sua ultima partita. Era da 4 mesi fuori per l’ennesimo infortunio, l’ultimo. La decisione di ritirarsi era già stata presa, ma ha voluto recuperare per salutare sul campo senza voler dare la colpa alla malasorte o a fattori esterni, come ha sempre fatto. Entra in campo, prende il suo rimbalzo offensivo, ne mette 2 e prende fallo. Termina la carriera di uno dei 50 migliori di sempre, con il sorriso di uno che, nonostante non abbia mai vinto il titolo, ce l’ha fatta.
Personaggio sempre, attore mai, giocatore immarcabile, intrattenitore, puro allo stato puro, onesto, divertente e divertito. Gli aggettivi si sprecano come i suoi soprannomi, ma quello in cima alla lista, di un signore con una maglia viola con un sole fatto a palla da basket davanti e il 34 dietro, è… “Sir” Charles Barkley.