Non è più il Partizan dei nostri padri e dei nostri zii, quello che con lui in panchina e Nikolic come nume tutelare nel 1992 vinceva l’Eurolega con una tripla a fil di sirena di Sale Djordjevic, alla prima stagione dello stesso Obradovic come allenatore. No, non come “capo allenatore”, proprio come allenatore, visto che fino al giugno dell’anno prima ancora giostrava in shorts e canottiera sul parquet.
Come eravamo
Mancano pochi secondi alla fine. Tomàs Jofresa palleggia, palleggia, palleggia ancora e fa scorrere tempo prezioso, accenna la penetrazione a destra poi parte verso sinistra, alza la parabola, la palla balla sul ferro ed entra. È il canestro del 70-68, quello che conferirebbe a Badalona il suo primo titolo di campione dell’Europa dei canestri.
Già, “conferirebbe”. Condizionale d’obbligo, quando nello sporti con la palla a spicchi devi affrontare i serbi. Infatti: Djordjevic, con una ora insospettabile chioma fluente, riceve palla sulla rimessa, macina metri e in un amen è dall’altra parte, e all’altezza dell’ala destra scocca un mortifero tiro da tre che trova il fondo della retina e regala il vantaggio al Partizan.
L’ultima Ave Maria catalana si spegne senza sussulti, e alla fu Abdi Ipekçi Arena (dedicata, a proposito di cristianità, a un giornalista turco assassinato nel 1979 da un commando di cui faceva parte anche Alì Agca, futuro attentatore di Giovanni Paolo II) a trionfare sono i serbi. È l’unico massimo titolo continentale del Partizan, mentre è stato il primo di una lunga serie per Obradovic, che nel giro di due anni si sarebbe poi fatto perdonare da Badalona portandola lui stesso sul tetto d’Europa.
Il cuore rivelatore
“Quando il presidente ha twittato, abbiamo mandato in crac internet”. Aleksandra Radivojevic spiega con una semplicità efficace quale significato abbia avuto il ritorno di Obradovic sulla panchina di una delle squadre più rinomate di Serbia, in un paese in cui l’attività sportiva è centrale e che, per di più, ama il basket in maniera viscerale.
Un ritorno di cuore, di puro cuore. Non c’è altra ragione che possa spiegare in maniera più completa come sia potuto accadere che l’allenatore più titolato del basket europeo, il guru della vittoria, abbia deciso di risposare la causa del primo club che con un aut aut gli propose un cambio di carriera, da giocatore a coach.
Si parlava della Virtus Bologna, di Valencia, del Real Madrid nel caso si fosse rotto il rapporto tra la Casa Blanca e Pablo Laso. Invece il ritorno che nessuno si aspettava è stato quello alla casa… madre, perché il cuore, come diceva Pascal, ha ragioni che la ragione non conosce.
Il partigiano Zeljko
La missione di Obradovic, dunque, è riportare il Partizan in Eurolega. Può farlo vincendo l’Eurocup o il campionato, chiaramente fermo restando lo sviluppo degli incresciosi fatti del conflitto in Ucraina, che finirà per influire anche sulla fisionomia del massimo trofeo europeo della stagione 2022/2023.
E a proposito di fisionomia, questo potrebbe essere un buon momento per provare a fare un’analisi tecnica del Partizan… se non che potrebbe essere completamente inutile, visto che nella sua biografia Saras Jasikevicius ha detto che Obradovic è capace di cambiare strategia alla vigilia dei playoff. Battute (ma fino a un certo punto) a parte, i bianconeri finora hanno messo in mostra un gioco molto fluido, basato sul tradizionale pick&roll centrale di Zeljko, da cui derivano poi le opzioni migliori a seconda del comportamento avversario.
Obradovic ha anche catechizzato i suoi perché sul lato forte prediligano il passaggio e non il palleggio, il taglio e non la stanzialità, l’incursione al ferro e non il tiro da tre fuori ritmo: l’obiettivo è costringere la difesa a muoversi, a fare una scelta, da cui l’attacco cercherà di trovare un varco in cui infilarsi. In difesa invece il Partizan mette pressione sulla palla e chiude il pitturato alle penetrazioni centrali anche grazie a un uso dosato dell’aiuto-e-recupero.
Questo è stato, in estrema e certo incompleta sintesi, il volto della squadra di Obradovic fino a questo momento, anche se è da metà aprile in poi che ne sapremo sicuramente di più. Una certezza però già possiamo esprimerla: quando in ballo c’è Zeljko nessuno può stare tranquillo.
Mai.