Cultura slava
Per cercare di far comprendere quello scritto nelle righe precedenti, è imprescindibile avere un’idea di cosa significhi essere serbi, o più in generale conoscere a grandi linee la cultura slava.
David Byrne, noto ai più per essere il leader dei Talking Heads e a tempo perso uno dei più grandi musicisti contemporanei, parlando di Deryck Cooke, importante musicologo del ‘900, diceva che quest’ultimo aveva notato che la musica slava usava tasti minori per la musica felice, affermando su questo fatto che “le loro vite erano così dure che non sapevano davvero cosa fosse la felicità”. Perché.
Quelle zone dell’est Europa, bellissime morfologicamente e dense di storia, sono attraversate, purtroppo, da secoli di guerra e di scontri (interni ed esterni) che non soltanto hanno segnato la storia recente, ma sono ormai insite nella cultura degli abitanti di oggi.
Sono questioni che risalgono all’Ottocento, quando un insieme di popoli e di culture si trovava sotto le diverse egemonie che a quel tempo governavano quei posti, come l’Impero Ottomano o quello Austro-Ungarico. Sono questioni direttamente responsabili dei più grandi eventi del XX secolo (non è un caso che il pretesto che fece scoppiare la Prima guerra mondiale è l’uccisione dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo per mano di un nazionalista serbo). E sono questioni che continuano a far parlare ancora oggi, con diverse zone che cercano la loro indipendenza, arrivando a brutali guerre civili.
Perché le terre slave sono da sempre il vero microcosmo d’Europa, con miscugli di etnie, culture e religioni che cercano di trovare le loro posizioni nel mondo.
La Serbia, tra tutte, è la nazione che forse più ha determinato tutto ciò, nel bene e nel male, forte di un’identità più chiara ma che spesso è sfociata però in un nazionalismo decisamente deleterio.
Mettiamo da parte quanto detto.
Il senso di appartenenza, la grande resilienza e la volontà nella ricerca della propria condizione, ha portato però a conseguire, dal punto di vista sportivo, quasi sempre eccellenti risultati e spesso anche inaspettati…
E questo si è visto specialmente negli sport di squadra (leggasi, appunto, l’unità), con la Jugoslavia di una volta che riusciva a dominare, ad esempio, la pallacanestro anche a livello internazionale. Memorabile, in questo senso, il mondiale vinto in Argentina del 1990.
Memorabile da due punti di vista.
Uno, perché è stato il punto più alto raggiunto dalla nazionale Jugoslava a livello internazionale.
Due, perché ha segnato la fine dell’amicizia tra Vlade Divac e Dražen Petrović , a causa di una bandiera galeotta. E quell’evento fece praticamente da apripista alla terribile guerra civile che durò praticamente dall’anno successivo fino alla fine del millennio. E qui un consiglio, nel caso ci fosse bisogno, lo stupendo documentario Once Brothers prodotto e realizzato da ESPN nel 2010.
Anche dopo la scissione nelle diverse nazioni che abbiamo oggi, scissione iniziata dal 1992, le nazioni slave si sono sempre ben difese, a dispetto magari delle piccole dimensioni dei vari stati (esempio massimo, la Slovenia agli europei del 2017).
La cultura sportiva, perciò, è direttamente ed indissolubilmente collegata alla cultura della società slava, diventandone un estensione dei vari sogni, problemi e volontà dei cittadini. Quando un serbo, un croato, uno sloveno scende in campo, non lo fa solo per sé stesso.
A queste tendenze, ne va inserite un’altra, che diversi studiosi hanno visto come una sorta di autodifesa nei confronti delle diverse sventure, guerre e nazionalismi soffocanti: l’umorismo.
Un umorismo particolare, non consueto e con modalità alle volte non convenzionali che tanti nativi di quei posti si portano dietro e che spesso usano come insito strumento di autodifesa. Per alcuni imprescindibile.
E partiamo da qui per raccontare Nikola Jokić.