Titolo in 6 partite doveva essere, e titolo in 6 partite è stato: i Golden State Warriors sono campioni NBA per la stagione 2022 dopo aver vinto gara 6 al TD Garden contro i Boston Celtics per 103-90, per Stephen Curry, Klay Thompson, Draymond Green e coach Steve Kerr è il quarto anello in 8 anni, il segno di una delle dinastie NBA più vincenti di sempre.
Gara 6 finisce con Curry, che sarà anche MVP delle Finals per la prima volta in carriera, in lacrime e che abbraccia il pallone. In campo, Steph ha griffato la vittoria con una prestazione da 34 punti con 6 triple a bersaglio, gara 6 è stata controllata per tre quarti da Golden State che ha “atteso” che la reazione d’orgoglio di una squadra sfinita come Boston nel primo quarto di gioco, si esaurisse, il sorpasso avviene sul 24-22 con un canestro da tre punti ovviamente di Stephen Curry.
Da quel momento, gli Warriors non si guardano più indietro, toccano il +21 (54-33) nel secondo quarto con il numero 30 a supervisionare. I Celtics sono senza energie anche a livello mentale dopo gara 5, Jayson Tatum cerca di non forzare ma ne esce una prova da 0 tiri liberi tentati per 13 punti con 7 assist, il migliore in campo per Boston è Jaylen Brown con 34 punti, 7 rimbalzi e 3 assist e 12 su 23 al tiro.
I padroni di casa si riportano nel quarto periodo sul -8 (86-78) con il solito Brown ma a ricacciarli indietro per l’ultima volta è un tiro da tre di Andrew Wiggins, che si conferma con 18 punti e 6 rimbalzi l’MVP “ombra” della serie finale per Golden State. Coach Ime Udoka ammette la sconfitta nell’ultimo minuto di partita e concede la standing ovation del TD Garden ai suoi titolari, mentre lo starting five di Steve Kerr resta in campo e aspetta la sirena finale per la festa e le lacrime di gioia.
Per i Golden State Warriors è il primo titolo NBA dal 2019, dalla finale contro i Toronto Raptors che lasciò a terra infortunati Kevin Durant e soprattutto Klay Thompson. Klay non ha giocato una buona gara 6 (12 punti con 5 su 20 al tiro) ma non è servita una grande prestazione da parte sua, il numero 11 è comunque riuscito a lasciare il segno in queste Finals almeno in gara 4 e gara 5, nella stagione del rientro in campo dopo quasi mille giorni di stop forzato.
Curry, Thompson, Green, Andre Iguodala e Steve Kerr siglano il quarto titolo NBA della loro storia a Golden State, per Kevon Looney si tratta del terzo mentre per giocatori come Andrew Wiggins, Gary Payton II e Jordan Poole, con le loro parabole di carriera così diverse ma arrivate a coincidere in questa nuova iterazione degli Warriors, è il primo.
Per coach Steve Kerr è il nono anello da campione NBA se si considera anche la carriera da giocatore tra Chicago e San Antonio, uno dei protagonisti NBA più vincenti di sempre.
Dopo tre tentativi a vuoto, Stephen Curry è stato finalmente nominato MVP delle finali NBA dopo una serie condotta a 31.2 punti di media, con 6 rimbalzi e 5 assist e il 43.7% al tiro da tre punti. In gara 6 Steph ha confermato il suo premio con 34 punti, 7 rimbalzi e 7 assist in 40 minuti, a 34 anni e dopo 2 premi di MVP stagionali tra 2015 e 2016. Il fiore all’occhiello delle sue Finals i 43 punti in gara 4 a Boston, con la squadra sotto per 2-1 nella serie e le proverbiali spalle al muro.
Dopo due stagioni distinte dagli infortuni di Thompson e Curry, e dall’addio di Kevin Durant da free agent nel 2019, e in cui la squadra non era riuscita neppure a qualificarsi ai playoffs, la vittoria del titolo NBA 2022 è anche il frutto di una capacità e abilità uniche di programmazione. Steve Kerr e il GM Bob Myers, così come la proprietà, non hanno mai avuto dubbi che una volta recuperato, il big three con Curry, Thompson e Green avrebbe saputo riportare gli Warriors ai playoffs, e hanno impiegato la “stasi” delle ultime due stagioni per scovare e aggiungere i pezzi giusti.
Andrew Wiggins, arrivato alla trade deadline del mercato 2020 appena un mese prima che il mondo intero si fermasse per il Covid, è stato la prima delle scommesse vinte. Atterrato nella Baia da giocatore in crisi di fiducia dopo il flop a Minnesota e con la pressione di una ex prima scelta assoluta, il canadese ha trovato a Golden State un ruolo minore per pressioni e attenzione, e in cui eccellere con le qualità migliori: difesa, atletismo e doti da realizzatore secondario accanto a una superstar come Curry.
Due dei giocatori chiave in uscita dalla panchina per Golden State sono stati creati ad hoc. Jordan Poole, pescato alla fine del primo giro al draft NBA del 2019, passato dalla G-League per l’apprendistato e poi esploso in questa stagione da “figlioccio” degli Splash Brother. E Gary Payton II, che a 29 anni a inizio stagione aveva pensato anche al ritiro e a una carriera da assistente allenatore, ma che ha avuto la sua chance e l’ha sfruttata: difesa, atletismo e un tiro da fuori migliorato per ricavarsi un ruolo importante nelle rotazioni di Kerr.
Kevon Looney veniva da due stagioni complicate, e soprattutto nel 2020 un serio problema di neuropatia ne aveva messo a rischio il resto della carriera NBA. Il lungo da UCLA è riuscito in una grande-piccola impresa in questa stagione, giocando tutte le 82 partite di regular season e vivendo dei momenti di grande spolvero anche offensivo, da bloccante e rollante per Curry e Poole, nelle serie contro Memphis e Dallas. Quello del 2022 è il suo terzo titolo NBA in carriera, quello vissuto con il ruolo maggiore per peso e minuti.