Home NBA, National Basketball AssociationNBA TeamsCleveland Cavaliers NBA Finals 2016, The Book, Chapter 1: La Forza Dei Guerrieri

NBA Finals 2016, The Book, Chapter 1: La Forza Dei Guerrieri

di Simone Scumaci
Finals NBA

PROLOGO

I Cleveland Cavaliers contro i Golden State Warriors, tutto ha inizio, come un anno fa. La finale, quella già scritta. I migliori della Eastern Conference contro i migliori di tutti. La squadra dei Big Three, Kevin Love, Kyrie Irving e lui, il King, Lebron James, contro la compagine del due volte MVP Stephen Curry, del Top Player ora ufficialmente consacrato Klay Thompson e di quello che può essere uno dei supporting cast più forti di tutti i tempi, partendo da quel giocatore tanto rognoso, al limite, quanto forte, Draymond Green, passando per il sixth man tra i più determinanti degli ultimi anni, Andre Iguodala. I pronostici li fa solo chi obbligato, chi li deve fare per mestiere, gli altri aspettano, ansiosi, che la storia abbia inizio. Cammini differenti ma entrambi al limite del favoloso. Per i primi due turni Cavs e Warriors spazzano via le avversario con serie chiuse in fretta ma più combattute del previsto. La squadra dell’Ohio nel primo turno ha eliminato i Pistons con un secco 4-0, ma ben 3 partite su 4 si chiudono con uno scarto inferiore ai 10 punti (nell’ultima partita decisiva la difesa di Irving su Jackson), mentre nel secondo rifila lo stesso risultato agli Hawks (qui le fatiche sono state minori visti anche i numeri segnati nella sfida soprattutto da 3 – record di 25 triple segnate in una partita di Playoff – ma per chiudere il tutto a Gara 4 è servito un super canestro di James su Millsapp ad una manciata di secondi dallo scadere). Ad Ovest invece i Golden State Warriors partono bene ma non benissimo: i Rockets di Harden sono avversario (nonostante le qualità del loro leader) abbordabile, ma durante gara 1 Curry si fa male alla caviglia. Nulla di grave, ma i Rockets, sotto 2-0, si riescono a portare a casa Gara 3 grazie ad uno stepback spettacolare di Harden. Curry torna in Gara 4 e, fantozzianamente, si infortuna nuovamente scivolando sul sudore lasciato per terra da Motiejunas (sgambettato per altro da Harden, il che aggiunge al fantozziano anche il superlativo di superfantozziano). Con Curry fuori, i Warriors riescono comunque a portarsi a casa la serie contro i Rockets con un ottimo 4-1. Il turno dopo è il turno dei Blazers di Lillard, McCollum e di un allenatore che per poco non rubava a Kerr il titolo di Coach of the Year, Terry Stotts. Per le prime 3 gare Curry non c’è: troppo importante tenerlo pronto per il seguito della post season. I Blazers ne approfittano e, dopo due gare dove avevano mostrato pregi e difetti del roster, riescono a portarsi a casa Gara 3. 2-1 per i Warriors ma adesso l’inerzia non è più così in favore della squadra di Oakland. Gara 4 è una gara tiratissima. Curry torna, ma si vede che è limitato. La gara va all’Overtime, e lì Curry torna a fare il Curry: 17 punti (record per un supplementare) e i Blazers sono ad una partita dall’eliminazione. Ad Oakland arriva la quarta vittoria, come i Cavs anche i Warriors sono in Finals di Conference. Qui iniziano i problemi, per tutti. I Cavs partono bene, anzi, benissimo: due vittorie praticamente già portate a casa al secondo quarto, i Toronto Raptors sembrano essere la terza vittima designata per lo “Sweep”totale di una Conference. Ed invece no, i Raptors di giocatori importanti ne hanno anche loro, gli altalenanti quanto fenomenali DeMar DeRozan e Kyle Lowry. Gara 3 e Gara 4 sono targate da loro (con una postilla sulle 7 super stoppate in due match di Biyombo). 2-2, niente sweep. Sono tutti stupiti, soprattutto i Cavs. Ed ecco di nuovo i primi pensieri negativi: questi Cavs sono una squadra ancora incompiuta, vittima delle sue stesse trame di gioco, e poco competitiva ad alti livelli, come se una Finals di Conference non fosse una partita ad alti livelli. I Cavs ritrovano compattezza e grinta ed asfaltano i Raptors nelle due gare successive. Nella Western Conference invece nessun proclama di sweep, anzi. I favoriti sono sempre loro, i Warriors, ma gli avversari sono tra i più difficili da affrontare: forti, carichi a mille per aver appena battuto da underdog gli Spurs e che sembrano aver trovato in Donovan e nei Playoff quella maturità che sino a qualche partita prima non sembravano avere. Stiamo parlando dei Thunder di Durant e Westbrook, ma anche di Adams e di un quasi epocale Waiters. Gara 1 è ad Oakland, la squadra di Kerr è pur sempre la squadra del record, Curry sembra non aver più sintomi dell’infortunio, tutto tranquillo quindi? No, se la porta a casa Westbrook a sorpresa. Non è successo niente, i Warriors lo sanno e dettano la legge del proprio campo in Gara 2. 1-1, classica vittoria di Pirro quindi per i Thunder quella di Gara 1 no? Si va ad Oklahoma ed il dominio dei Thunder è totale. Saltano i nervi a tutti, sopratutto a Green che tira un calcio nelle parti basse di Adams. La polemica è infinita: in campo danno common fault, ma per tutti è un flagrant. L’NBA rivisiona il caso: da una parte spingono per la volontarietà, dall’altra per il gesto naturale. La decisionelascia tanti con l’amaro in bocca e molti dubbi da digerire: upgrade a Flagrant 2, multa, ma nessuna squalifica. Green gioca Gara 4, ma non si vede, così come tutti i Warriors. 3-1, Klay Thompson in panchina è il volto di questi Warriors: asciugamano addosso, lacrime di sconforto. Si torna ad Oakland, serve una reazione: Gara 5 è dei Warriors, nonostante un super Durant. Ok, adesso la vittoria di Pirro è dei Warriors no? No, esattamente come non lo fu per i Thunder. Gara 6 è ad Oklahoma, ed è il vero crocevia della serie. L’occasione per la squadra di Donovan è ghiotta: vincere in casa contro i Warriors, dopo averne già vinte due a Loud City. I Thunder conducono sempre, a 5′ dal termine sono +5, ed a 2′ +2. Poi da lì in poi solo Warriors: 3-3, e Gara 7 è alla Oracle. I guerrieri non possono fermarsi ora, e non lo fanno. In una complicatissima partita che vede spesso in vantaggio la squadra di Westbrook e Durant, Curry & Co. riescono a venire fuori nel terzo quarto, prendendosi una lead che non molleranno sinoall’ultimo secondo del quarto quarto. I Warriors, dopo 7 gare, raggiungono i Cavs in quella tanto aspettata Finals, in quel tanto osannato rematch che un anno fa portò il titolo nella baia

 

CAPITOLO 1: LA FORZA DEI GUERRIERI

E ora che ne sarà del mio viaggio?
Troppo accuratamente l’ho studiato
senza saperne nulla.
Un imprevisto è la sola speranza.
Ma mi dicono ch’è una stoltezza dirselo.
Eugenio Montale

I Cleveland Cavaliers contro i Golden State Warriors. Guerrieri contro i cavalieri. Sembra quasiuna sfida da gioco di ruolo, da videogioco, come se tutto ci fosse stato portato anacronisticamente qui da un’era medievale e stessimo per guardare uno di quegli scontri epici ove a perire sono in tanti e quelli che riescono a tornare a casa si portano a casa l’onore, la gloria e pure la bella. E la bella in questo caso è bionda quanto Scarlett Johansson ma ha un nome un po’ meno femminile: stiamo parlando del Larry O’Brien Trophy. Da una parte la squadra che ha fatto record impensabili: quel 73-9 che per molti anni la Lega si porterà avanti quasi come un fardello, quel numero di triple segnate in una stagione dalla squadra (più di 1000) e da un giocatore (Curry, 402), quel due volte MVP, il primo Unanimous della storia. Strength in Numbers, non a caso. Dall’altra parte la squadra che ha dominato l’Est, il regno del Re, il regno del dominatore che un anno prima praticamente da solo aveva quasi fatto inchinare anche la polis di Kerr. Quest’anno i suoi fidi scudieri, Irving e Love, ci sono, ma l’impresa non sembra affatto più facile per lui e i suoi Cavs: i Warriors sono praticamente gli stessi di un anno fa, ma quella stagione, quell’esperienza, e soprattutto quella rimonta sui Thunder sembrano aver dato qualcosa in più ai guerrieri. I pensieri e le paure devono sparire prima che lo speaker annunci le formazioni, ora si deve giocare. Solita Intro delle finali: si vedono tutti i più grandi della storia, e si vedono anche loro due, Curry e LeBron. Il primo l’anno scorso, che ha alzato il trofeo in casa del Re, a pochi chilometri dove anche lui, per uno scherzo del destino, è nato, il secondo qualche anno prima, con una maglia che però non è quella di casa sua. L’atmosfera è di quelle che ti fanno dire: cazzo perchè non sono un giocatore professionista pure io, non potevo nascere alto 2 e 10? Non importa, tanto comunque saresti stato scarso comunque. Meno male che giocano loro che di emozioni ce ne possono dare eccome. L’inno di Gara 1 lo canta uno che sembra tantissimo Mo Williams, ovvero John Legend. Sarà un presagio? No, perlomeno per ora.

Inizia il match: Kevin Love apre le marcature con una bella tripla dall’angolo. I Warriors rispondono colpo su colpo e si portano subito in vantaggio. L’attacco dei Cavs è statico, troppo, più del previsto. I Warriors invece fanno girare il pallone in modo egregio, approfittando di alcune letture difensive al limite del grottesco da parte dei Cavs. Vanno avanti di 7, Curry fa 2 su 3 dalla distanza ma Klay Thompson è ancora assente ingiustificato. I Cavs fanno un 5-0 targato Shumpert e Irving, portandosi sul -2. Livingston è magistrale a fine quarto. 24-28 per i Warriors. Quattro punti sono recuperabili, ma non se giochi nel modo in cui giocano i Cavs: passivi, lenti, indecenti sugli Switch difensivi e soprattutto inadeguati con la second unit. Livingston e Barbosa salgono in cattedra e fanno vedere cosa vuol dire essere decisivi anche dalla bench.

https://www.youtube.com/watch?v=9yEAID-oles

I due guidano i Warriors come neanche gli Splash Brothers, facendo canestri paurosi. Le All-Star sono loro, nulla da dire. Uno, due, quattro e più canestri, che lasciano al palo i Cavs e portano i Warriors sul +11. Klay Thompson torna sul parquet ricordando chi si è preso i titoli di tutte le pagine dopo la rimonta contro i Thunder, allungando ancora il vantaggio dei guerrieri a +14. Dieci punti presi in metà di un quarto: se i Cavs erano stati graziati dai titolari nel primo, la stessa pietà non è stata ricevuta dalle riserve (che sembra quasi un insulto, un epiteto negativo a dei giocatori stellari). Le transizioni dei Warriors sono la perfezione, difesa e corsa verso il canestro, avendo sempre un paio di opzioni oltre all’attacco a canestro. Al contrario, i Cavs sono nel pallone più totale, in un incubo che nemmeno Füssli riuscirebbe a dipingere. Non riescono ad attaccare, prendono contropiedi come neanche una squadra inglese che deve recuperare un gol negli ultimi 5 minuti, sono a 9 Turnovers in meno di due quarti. La squadra dell’Ohio però, pur forzando, attaccando in modo poco costruttivo, riesce a tirar fuori il suo magico talento: Irving, LeBron e Love riescono a trovare comunque la via, anche se in modo complicato, del canestro.

https://www.youtube.com/watch?v=orddPvepnQs

I due primi quarti terminano con un +9 Warriors, tanto, troppo, ma poteva essere anche peggio. Il terzo quarto però è tutta altra storia. Gli Splash Brothers continuano ad essere le ombre di se stessi, mentre Love e Irving mettono a segno anche le cose più difficili che gli passano tra le mani.

https://www.youtube.com/watch?v=slbPtIVO4zI

Il quintetto titolare dei Cavs rimonta tutto il rimontabile, portandosi incredibilmente a +1 a 3 e 49 dalla fine del penultimo quarto. Sembrava impossibile, ma i Cavs sono sopra. A 2′ dal termine del terzo quarto il vantaggio è sempre di un punto, l’inerzia sembra essere dalla parte della squadra della Eastern Conference, ma succede qualcosa. E non è solo una mossa di Karate di Kerr in panchina

https://www.youtube.com/watch?v=zrnsB3ERwTk

Il King esce ed entrano in campo i “guerrieri panchinari” (le virgolette sono un obbligo, quella parola riferita a qualsivoglia giocatore dei Warriors è eresia). E’una combo che Dellavedova, Shumpert e la bench band dei Cavs non può reggere. Ed eccola la vera forza dei guerrieri, la squadra. Tutta, dal primo all’ultimo. Curry e Thompson in questo Game 1 non ci sono, per nulla. Kerr li fa sedere, tutti e due. Pensate sia un problema? No, non lo è. Dopo Livingston e Barbosa a guidare il parziale decisivo dei Warriors ci pensa la “riserva” per eccellenza: Andre Igoudala. 15-0 in 4 minuti e qualcosa in più, ciao ciao partita.

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La faccia di LeBron James dice tutto. E’ la faccia del leader di questa squadra che non riesce a capire come, dopo aver preso in mano una partita che sembrava già andata ad inizio terzo quarto, si possa farsi scappare così dalle mani una Gara 1 delle Finals, è la faccia di un tifoso dei Cavs che avrebbe solo voglia di prendere il telecomando e cambiare canale, ma non lo fa lo stesso, sperando nell’insperabile, è la faccia di un giocatore che sa che, per quanto decisivo possa essere il suo rientro in campo, questa partita è andata. Ed infatti è così. Rientrano i titolari, ma i Warriors ora giocano come fosse un All-Star Game. A 5′ dal termine il vantaggio è di 20 punti. I titolari stanno in campo, fanno parziali e se li prendono, ci provano, ma due triple del duo Curry-Thompson a 2′ dal termine sanciscono l’inizio del garbage time. 104-89, ecco il risultato finale. Difensivamente, offensivamente e a livello di ritmo i Cavs ci hanno capito poco o nulla. Feriti dall’arco di Kerr, dalle frecce della faretra di scorta, la squadra di Lue, sanguinante, se ne torna negli spogliatoi con due grandi consapevolezze. Se gli Splash Brothers chiudono con 20 punti in due, tu contro i Warriors puoi comunque perdere (cosa che Irving e James non si possono permettere), ma soprattutto se difendi cosi non hai speranze. Non puoi distrarti, non puoi limitarli, non puoi sederti mai. Livingston (8 su 10), Iguodala (12-6-7) e Barbosa (100% dal campo). Gli applausi se li prendono tutti loro. Non esiste la second unit per loro, e non può esistere nemmeno per i Cavs. Ed è questa la Forza dei Warriors. E’ come giocare contro un fiume in piena che trova forza da tutti i suoi affluenti. I Cavs sono su una nave che si è presa il primo grande scossone perchè i pirati semplici non hanno seguito gli ordini del capitano quando egli era finalmente riuscito a domare l’imbarcazione. Una botta, potente, ma è solo una botta. I Cavs non stanno ancora liberando le scialuppe, e possono ancora rispondere a dovere nelle prossime partite

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